MARCO RIGHI
Nella semplicità del verso la maestosità del credo di Marco Righi
Da Dio ai suoi figli per meritare la vita eterna: fede, speranza e
carità.
Crollano le nascite,/dei padri la Fe’ è smessa,/mi trovo in questa
chiesa di mattina/e guardo, e lascio/che la luce irrompa/e compia i suoi
prodigi./Di colpo sono bimbo/in questa chiesa, enorme, silenziosa/ma
accogliente/che come allora/dall’alto il Sole filtra/e di colori caldi/il legno
incendia/Silenzio e luce,/odori: cera e incenso/il rito ed il racconto/di un
mistero…” (Chiesa). Luce, tanta luce,
prodigi, chiesa, tornare bambini con l’animo pulito, mistero, fede, speranza,
passa la vita, carità. Sono i punti focali che fanno da leitmotiv nel percorso ascensionale di questa
silloge. Partire da terra, dalle cose umili, per elevarsi alla maestosità del
Cielo, è quello che fa Marco Righi con la sua incrollabile ricerca verso la
grazia di Dio. Opera fluente, scorrevole, trascinante, che dona tutto il suo
ardore emotivo alla grazia di versi che proprio con la loro duttilità possono
abbracciare la semplicità di un sentimento. Iniziare da questa poesia significa penetrare fin da subito
nella spiritualità profonda e coinvolgente di Marco Righi. Un autore che dà
tutto se stesso allo slancio fecondo verso il Cielo. Verso la grandezza che la
Chiesa contiene nella sua missione, volgendo agli uomini la mano per la loro
salvezza, attraverso le tre virtù teologali. Il poeta cosa chiede al mondo,
alla gente, ai fedeli? Chiede che si amino e che facciano dell’amore il ponte
tramite cui si possa attraversare la palude dell’indifferenza. D’altronde è
l’amore, il suo apporto, la sua contaminazione spirituale a fare degli uomini
quella parte della terra più vicina al Signore: “…Cos’è la Fede/se non un dono
arcano/che colma un’alma/e l’altra vuota lascia?/Perché mi è data?/a quali fin
rivolti/sono i talenti/che albergo nel mio io…?”. Interrogativi di consistenza
umana, di escatologica portata
universale, che ogni uomo si pone, magari senza trovare le giuste risposte.
Ma l’autore le fa sue le risposte, le vive e le possiede, senza l’apporto della
ragione, dacché la fede la speranza e la carità sono il terriccio fertile su
cui nascono e si sviluppano i fiori della sua teologia. “…Non c’è risposta,/soltanto una ricerca/continua,
faticosa,/coinvolgente/che piano, piano/ti apre agli altri attorno/per viver la
Speranza/insieme a loro…”. Sperare, fare di questo intenso input una scala
verso l’alto, vale ad avvicinarsi agli altri; a fare di un insieme di persone
una comunità, una società forte e stabile negli affetti e nella fede. Valori
non solo religiosi ma anche etici, moralmente solidi per un mondo cha spesso
sembra perdersi nei meandri di una società liquida, in preda alle aporie del
quotidiano. “…Passa la vita/passano le
tue azioni/resta Fiducia/in chi tu incontrerai/e Vino nuovo aspetti/insieme a
quelli/che han condiviso/Carità con te.”. Sì carità, un'altra virtù di cui
l’uomo moderno scarseggia, tutto preso dai suoi affari, dai guadagni di una
vita terrena, mentre il tempo, nella sua
inconsistenza e brevità, ci insegna
quanto ancora di più noi dovremmo affidarci allo spirito; agli
insegnamenti ecclesiali. E’ cosciente il poeta della fragilità dell’esistere,
del breve tratto che ci è dato per riflettere su noi ed il nostro ruolo. Fin
dall’antichità gli scrittori si dolevano della inconsistenza dell’esistere, 1“Cotidie
morimur”, scrive Seneca; o 2“dum loquimur fugerit invida aetas…”,
Orazio. Lo stesso dolore o sperdimento di fronte al potere dissolutivo della
morte si è tramandato fino ai nostri giorni. Allora cerchiamo di rimediare a
questa carenza umana, affidandoci alla grandezza dei Cieli che dànno un senso
di eterna elevazione alla nostra permanenza terrena. La silloge, di sette
composizioni di ampia e libera stesura metrica, si distende su uno spartito di
euritmica musicalità, valorizzato dal ricorso a rimiche combinazioni.
1) Libro 3, lettera 24, Epistulae morales ad Lucilium
2) Carpe diem, Libro 1, Carmina (Odi)
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