MA È
PUR SEMPRE VITA
Anna Vincitorio, collaboratrice di Lèucade |
Lo
sguardo rivolto a quella porta finestra. Serrande semiabbassate sulla terrazza
disadorna. Panni di più colori ripiegati nel bianco lavello. I fili del
condizionatore arrotolati verso l’alto. Il tutto sprigionava un alone
d’incompiuto. Avrebbe dovuto esserci più di una presenza. La casa completamente
ristrutturata; gli smalti alle finestre di un bianco accecante. Il ricordo dei
precedenti abitanti si slabbravano lentamente. Il dolore di passate presenze
era ormai lontano. L’appartamento rinnovato avrebbe dovuto accogliere una
coppia.
Poi il cognome era scomparso dalla
cassetta della posta.
Un andirivieni per alcuni mesi. Una
mattina sento suonare al mio campanello. Una donna dalla pelle ambrata mi
chiede alcune notizie sul condominio. Poi, mi dice che verrà ad abitarci col
fidanzato.
Pochi mobili. Non un vero trasloco. Nella
casa talvolta un leggero rumore di passi. Serrande alzate nel primo pomeriggio.
Non ci sono tende. Soprattutto mancanza di odori, di suoni. Appaiono dei panni
tesi quasi furtivamente. La casa sembra animata da silenziose presenze. Mai un
suono della TV o musica. Nessun rumore. Sono incuriosita e turbata a un tempo.
Da qualche giorno sul terrazzo compare un uomo sulla trentina; alto, magro, con
pochi capelli e corti baffi. Sempre col telefono all’orecchio; soprattutto pare
che ascolti. Non odo la sua voce. Un giorno lo saluto augurandogli buon
soggiorno. Un mezzo sorriso cortese ma distratto: “Ancora non è tutto a posto”.
Rientra. È ora di pranzo. Non si diffonde nessun aroma. È sicuramente solo.
Immagino un pasto frugale su una tavola sguarnita. Forse è in attesa. Ma di
chi? O di cosa? Sembrerebbe la trama di un film che non decolla per l’assenza
dei protagonisti. A volte, furtiva, guardo l’uomo sulla terrazza dalle mie
tende azzurre.
Ha un’aria perplessa; né triste, né
rassegnata. Solo assente. Quando cala il giorno vedo abbassarsi la serranda.
Aleggia un vacuo silenzio. Dove sarà quella donna che aveva suonato al mio
campanello? Due cognomi sulla targa. Uno forse arabo. Un’assenza voluta o
imposta dalle circostanze? Un lavoro lontano in un paese in conflitto? La donna
forse ha iniziato una nuova vita con un altro ma non c’è stato ancora un
definitivo addio che spiegherebbe la solitudine muta dell’uomo con all’orecchio
il cellulare. Al pianterreno vive un altro uomo solo.
Nero, gentile. Lui però quando parla a
telefono, urla in una incomprensibile lingua. Ho in me un senso di desolazione.
Sembra che una ignota tristezza si insinui tra le finestre del palazzo. È come
se eventi tristi appartenenti al passato, volessero permanere in quella casa
dove gli occhi rimandano parole che nessuno ode.
Dove il letto è occupato da una sola
parte e spesso, al mattino, scorgo un cuscino un po’ ammaccato appoggiato sul
piano della terrazza deserta. Avevo sperato in vicini giovani e gioiosi che
avrebbero fugato i ricordi di due vite spente in quella casa, poi, divenuta
vuota. Spalanco i vetri. C’è un bel sole e guardo il cielo sopra di me. Una
fila di terrazzi. In alto, grida di bambini. Un cane uggiola contento e corre
per le scale scodinzolando. Nella strada di fronte alla casa, una scuola. Al
mattino, voci. Corse verso il cancello mentre un tepore giovane aleggia nel
vento. È parvenza di vita. Per loro, almeno, ci sarà un futuro gioioso?
L’uomo è nuovamente sul terrazzo. Stende
maglioni e panni con fare ordinato. Mi rivolge un breve sorriso e un buonasera.
Vorrei chiedergli: “Perché è così solo?” Ma non posso; sarebbe violazione della
privacy.
Ogni sera ognuno di noi abbassa le
serrande. In ogni casa al calare dell’ombra prendono corpo i ricordi e forse
anche risate mescolate a qualche lacrima.
Ma è pur sempre, vita!
Firenze,
18 gennaio 2022
Anna
Vincitorio
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