LA POESIA IN SARDOCORSO DI GIUSEPPE TIROTTO
Figura cara e preziosa quella di Giuseppe
Tirotto autore di lungo corso di una Sardegna ricchissima per narrazioni e varietà
linguistiche delle quali abbiamo già in parte avuto modo di parlare tramite la
poesia in sardonuorese di Maria Grazia Cabras e in catalano di Antoni Canu. Ora
è la volta di Tirotto, classe 1954, scrittore bilingue di Castelsardo (Sassari)
che alla produzione in lingua, tra romanzi e testi poetici, ha in uso anche il
sardocorso d'origine (nel quale dando anche una originale versione de Il piccolo principe di Saint-Exupéry).
Ad aiutarci a dare luce ad un dettato che fa dei legami con la memoria l'asse
portante delle sue riflessioni appare bene riportare tra le altre allora la
motivazione data dalla giuria del "Premio Arti" nel conferimento di
un riconoscimento nel 2018
sottolineandone la capacità di gettare uno sguardo sul "mistero del tempo,
che è essenzialmente gestione e poetica memoria della natura (..) Meditazione
lirica dell'io che si distende su di un ambiente naturale che le fa da innesco,
e si plasma su un tessuto melodico di lieve intensità che reduplica l'incanto
arcano della natura". Ed infatti tutta la trama lirica di Tirotto è nello
sforzo di una rete nella cui cucitura mondi, terre, spazi del cuore e
dell'anima non vadano a perdersi ma insufflati negli elementi di una creazione
instancabile che a sé richiama e in sé converge sappia restituirci e costruirci
nuovi sempre nella condivisione appassionata e sensuale di noi stessi. Per
questo, nella consapevolezza di un'esistenza breve, fatta anche di separazioni,
di "polvere in attesa/ di un soffio più impetuoso" ("piàru in
attesa/ di un bùffiu più fugosu") a cui dare anelito, lo sguardo non può
che ritornare e perdersi laddove l'uomo nella sua più accolta ispirazione
meglio può apprendere, perché da lì generata e nutrita, perché da lì
continuamente interrogata, e cioè la
natura certo come detto ma nella sua struttura e misura - anche- d'archetipo e
coinvolgimento all'interno di un più vasto, risonante- e trasfigurato comprendere.
Una natura che è quella tra cielo e mare, di terra nell'unità delle ore, e
degli anni, di una radice carnalmente nella simbologia dell'albero, di
quell'albero nel quale Tirotto pienamente va a riconoscersi nello spazio natale
della amata Castelsardo, fusto di pietra scura, "furma di l'anima"
tra mattini di luce tersa e tramonti di "rete d'oro" ("un rizzagghju d'oru") a spegnersi
dietro all'Asinara. Eppure se della terra sembra vincere un'impronta
tendenzialmente lirica del verso, pure è altrettanto forte la riflessione,
l'incisione storica che va a premere e a chiedersi in lui nel presente di
dinamiche mai slegate dalle inquietudini e dalle problematiche di un
contemporaneo ora mistificante ora più strettamente nell'urgenza delle sue
demolenti inquietudini. Non dimentichiamo infatti andandolo a segnalare quel E semmu andaddi cantendi (E siamo andati
cantando), così emblematico della disposizione di scrittura in Tirotto, il
romanzo in versi che partendo da una storia di emigrazione va a lasciarci una
traccia della Sardegna dal punto di vista della sua generazione come è stato
già rilevato, quella carezzata dal 68 e dal boom economico. A ciò il canto però
a legarsi in tutta la produzione al risalire di tracce ancora vive nella
determinazione del tempo, a dire del tempo la sua caratterizzazione in noi,
esemplarmente e rifondante sempre, almeno nelle sue interrogazioni e- a
proposito di archetipi- dalle immagini, dagli odori, dai sentieri di una
formazione, che è quella della giovinezza (nei suoi calori e nelle sue paure) e
dell'amore, temi cari a cui ritorna spesso e in cui veleggia in quel niente che
basta al risveglio di ricordi, e presenze ancora in qualche modo ubriacanti.
"A volte quel verde odore/di menta e rosmarino,/che come un vento marino/un'aiuola
resistente sparge" ("a volti chissu verdi oduri/di menta e
romasinu,/chi cumenti un ventu marinu/un'agliola risistenti spagli")solo
per dirne alcuni nel sollevamento di una terra che nella casa però ha la sua
identità di rivelazione, e di partenza (anche qui simbologicamente o meno), un
testo tra gli altri andandola a celebrare. Si tratta di "Casa di
mamma" dove ancora nella "sinagoga/ di silenzi"
("sinagoghi/ di silenzi"), che certo è anche nella, della sacralità
della memoria sembra sentire ancora il ticchettare della mamma piegata alla
macchina da cucire, nella illusione forse dell'anima di poterlo fermare il tempo
"ma non gira la ruota all'incontrario,/avvoltolato è il filo/ alla
spoletta, speriamo/ almeno non si spezzi" ("ma no ghinda la rodda a
l'incontrariu,/agghjumiddaddu è lu filu/
a la spoletta, spiremmu/ chi alumancu no si strippia"). Qui è nello scatto
intelligente del cuore quello scarto che fa d'ogni uomo un poeta a saperlo
intendere come Tirotto riesce splendidamente a mostrare nella elevazione di una
lode cui si fa perennemente fedele giacché "a volte ciò che si perde
ritorna,/si canta" ("A
volti lu chi si perdi furriegghja,/ si canta"). Un insegnamento che nelle
tentazioni del tempo stesso nell'aderenza al proprio destino non smette di
rincorrerlo nell'accompagnamento di una semenza sempre disposta al raccolto. E
al canto stesso dunque perché nella continuazione del canto sapendo la
sopravvivenza stessa. Con questo insegnamento, nel segno classico
dell'impronta, andiamo a concludere la vita come l'amore non smettendo mai di
sorprenderci proprio come quel raggio di sole inatteso "dopo un
temporale/pomeridiano, quando/ già aspettavo la notte" ("a poi una
buriana/a sirintina, candu/ghjà asittava la notti").
Gian Piero caro, ti esterno ancora e sempre la mia ammirazione per la cura che riservi ai testi dialettali. In questo caso affreschi una magistrale esegesi dell'Autore di Castelsardo, in provincia di Sassari, un Poeta del quale descrivi l'Arte asserendo: "tutta la trama lirica di Tirotto è nello sforzo di una rete nella cui cucitura mondi, terre, spazi del cuore e dell'anima non vadano a perdersi ma insufflati negli elementi di una creazione instancabile che a sé richiama e in sé converge sappia restituirci e costruirci nuovi sempre nella condivisione appassionata e sensuale di noi stessi". Le radici restano il focus della tua ricerca, della tua difesa delle nostre origini. Un lavoro infaticabile il tuo, che rende grandi tributi ad Autori come Tirotto e che crea sussulti nelle nostre coscienze. Ci ricordi quanto è importante non dimenticare da dove veniamo e di cosa sono intrisi i soggetti, i valori, le emozioni che seminiamo. Ti ringrazio, estendo la gratitudine al Poeta e vi stringo entrambi nel segno del nostro amato Condottiero.
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