NOTA CRITICA DI NAZARIO PARDINI
Poesia
che con voce chiara e ammiccante riesce a tradurre un sottofondo di
spiritualità umanistico-classicheggiante in misure di moderna sonorità. Una
sinfonia che lega tra loro nèssi allusivi di impatto emotivo. Fughe verso mari
che respirano arie di mistero e di incontri mancati. Desideri di àmbiti
rigeneranti, di onirica Bellezza. Contaminante dire poetico che con slanci di euritmica fattura riporta acque
di un Egeo zeppo di miti a scorrere in argini di sapida novità verbale.
E
c’è la vita in questi versi con tutti i suoi sogni, con tutte le sue
sottrazioni, con tutti i suoi voli, pindarici voli verso mète che oltrepassano
il confine del nostro esistere verso l’ “Incantesimo sul mar Egeo/ Di fronte all’austero
Peloponneso”. E tutto si fa ritratto di un’anima volta a raffigurarsi in quadri
di classica memoria rivisitati da un verso fresco e sinfonicamente attuale: spiagge,
calette, scogli, ciottoli variegati dai colori antichi, il mare sempre diverso e sempre uguale, incontri impossibili per tempi che ci rendono
diseguali. Un fremito di vento antico in un’anima che si rigenera in docili
misure trasparenti come mari di greca memoria.
Traduzione in inglese
Fuga da settembre
Aggiungo
un’altra significativa poesia di Giusy Frisina a conferma della sua agilità ispirativa
nel tradurre il mito in un canto di cristallina resa poetica (Il cuore di Hydra). Sta qui la grandezza della poesia: nel fare
del repêchage di miti e mitologie un’attualizzazione delle vicende umane. Un’elevazione
all’universale.
Ben
intonata, fra l’altro, al tema del blog: Lèucade.
E non
me ne voglia la poetessa se, invogliato dalla freschezza del suo poièin,
inserisco nella sua pagina un mio poemetto sulla mitica isola, un poemetto
pubblicato in Alla volta di Lèucade.
Il
cuore di Hydra
di Giusy Frisina
Potrei
approdare su Lèucade
Dove la
vinta poetessa
Si
slanciò sulle acque
Dall’alta
rupe
Per
ritrovarsi immortale_
Ma il
mio destino è più lento
E imprevedibile
Al
punto da stancare
perfino
il tempo che resta _
E l’isola
giusta si cerca
Con
ogni cura
Nelle
nude spirali
Della sezione
aurea
Di una
sola conchiglia
Appena
immaginata
Nel cuore
chiaro di Hydra.
Traduzione in inglese
The
heart of Hydra
I could come at Léucade
Where the defeated poetess
Ran on the waters
From the high cliff
Recovering the immortality _
But my destiny is long and
Unpredictable
So to get bored
The remained time _
And the right island is looked for
With every care
In the bare spirals of
A golden section
of
An alone shell
Just now imagined
In the clear heart of Hydra.
Fuga da settembre
di Nazario Pardini
E furono le le Eumenidi a
portarmi
dove non vi è stagione.
Ventilava
zefiro eterno l’isola di
Lèucade
eternamente dolce di lavanda e
di timo.
“Dallo scoglio”
mi dissero “Ove siedi ad
osservare
gli ampi spazi del mare
ricamato
da sciami di gabbiani, si
gettavano
gli sfortunati umani per
disperdere
reminiscenze estreme. Ed anche
Venere
restò meravigliata nel
sentirsi
serena dopo il volo.
Gli infelici in amore a Lèucade accorrevano
dai più lontani luoghi.
Preparavano
con offerte ad Apollo
la loro prova. Ed erano sicuri
coll’aiuto del dio di
sopravvivere
all’eccelsa caduta. Proprio
qui
ove tu siedi stette il piede
tenero
dell’infelice Saffo che Faone
abbandonò. Nel cielo di
quest’isola,
lucido ed armonioso,
riscontrava
solo dolore; andava su altre
sponde
ove il mare violento tormentava
gli scogli dissestati per
rivivere
il suo triste destino. Dalla
cima
della dimenticanza, si gettò
in quest’onde fatali. Ed
Artemisia
regina della Caria ed altre
ancora
raggiunsero la meta, ma
scambiando
la vita con la morte.” “Mi
sovviene
il mio settembre tanto
logorante
nei palpiti di umana
inconsistenza,
nei flebili lamenti di
esistenza,
nei pallidi scolori di
tristezza
di un borbottio leggero di
rumori
quasi alla fine. Ma non so se
vale
di più restare immoti nella stasi
di un eterno sereno che
provare
il dolce senso del dolore
umano.”
“Proprio il poeta, diciamo di
Nicostrato,
gettandosi dall’alto della
rupe,
non lasciò col patire
il respiro di vita. Forse il
dio
volle che poesia perpetrasse
dall’anima pacata, dopo il
salto,
il suo divino suono”. Ed io fuggii
scabro settembre, mese
addolorato,
dal sangue che si sperde in
ogni dove
dell’ultimo respiro della
vita.
Io ti lasciai e un salto nelle
oniriche
acque di Lèucade non mi
concesse
morte né oblio, ma solo la
ricchezza
d’immagini feconde rivissute
da un’anima al di sopra delle
povere
storie del giorno. E ti
rivissi, vita,
con un sentire lieve e tanto
amato
che in ogni fatto lieto o meno
lieto,
ma scampato, vidi un superbo
dono.
Viaggio
in Grecia
di Giusy Frisina
Atena Nike
Faro dell’intelligenza
E del coraggio guerriero
Regina di bronzo puro
Vegliami nella notte
Con la silenziosa civetta
Ed un ramo d’olivo
Occhio che guarda nel buio
E che non teme di accecarsi
Messaggera di pace
Tu che prepari la difesa
Di una città orgogliosa
Tu che non potrai mai vincere
Senza che Poseidone
ti sconvolga
Con il tridente d’oro
Ed una scia di pesci
Di rame e d’alabastro
Da “Il
canto del desiderio”(Edarc 2013)
Traduzione in inglese
Journey in
Greece
Atena Nike
Lighthouse of intelligence
And fighting courage
Queen of pure bronze
Take care of me over the night
Whit the silent owl
And with an olive’s branch
Eye looking in the dark
And not fearing
To blind itself
Bringing of
peace
You that
prepare to defend
A proud city
You that cannot win
Without Poseidon’s
Shocking strike
By a gold trident
And a swarm of copper
and alabaster fish
Journey in Greece
Hydra
di Giusy Frisina
Incantesimo sul mar Egeo
Di fronte all’austero Peloponneso.
Qui ti cerco senza cercarti
Tra spiagge e calette
Insolite e familiari
Di scogli e ciottoli
Variegati dai colori antichi.
E il mare
Sempre diverso e sempre uguale
Racconta l’incontro mai avvenuto
E che mai potrà avvenire
Di due stranieri della Terra
Che in tempi diversi
Si cercano senza saperlo
Eternamente specchiati
Nella trasparenza di
un’acqua
Che sempre li rimpiange
E sorride
Da “Il canto del desiderio” (Edarc 2013)
Copertina realizzata con disegni dell'Autrice
Traduzione in inglese
Hydra
Charm on Aegean sea
In front of the
Peloponnesians austerity
I am looking and not looking for you
Among unusual
and known
Rock and cobble
beaches
In the wonder
of ancient colours
And the sea
Always different
always same
Tells the merge never been
And that never
will be
Of two earth foreigners
Who in
different times
Looks for each
other
Without knowing
it
Eternally reflected
In the water transparency
Forever regretting them
And smiles
Giusy
Frisina è nata in Magna Grecia. Si è laureata in Filosofia all’Università di
Messina ed ha successivamente conseguito una specializzazione in Psicologia presso l’Università di Siena. Abita a Firenze
e insegna Filosofia al Liceo Classico
Galileo. Ha scritto vari articoli e racconti per la rivista online Domani Arcoiris TV diretta da Maurizio
Chierici. Diverse sue poesie sono state
selezionate e pubblicate su antologie come Poesie
del nuovo millennio, Habere
Artem e Parole in fuga, a cura di Aletti editore. L’amore per la poesia e
la musica di Leonard Cohen hanno dato
origine alla raccolta bilingue Il canto
del desiderio (Edarc, 2013).
Un’altra sua raccolta, già segnalata al Premio Letterario Ibiskos 2012, è stata
recentemente pubblicata col titolo di Onde interne (ilmiolibro, 2013). Di prossima uscita la sua ultima silloge dal
titolo Dove finisce l'amore, a cura
di Teseo editore .
Giusy Frisina, con molta arguzia, mette a profitto le lezioni del “secondo” Heidegger e del “secondo” Wittgenstein, cimentandosi con l’«indicibile», attraverso il riferimento all’unico linguaggio significante, cioè il linguaggio della «poesia». È il mito, il racconto non-razionale, a salvare la razionalità umana in crisi; nei versi di Giusy è il muthos, narrazione incantante, a custodire, paradossalmente, il moderno, con un rifiuto netto del post-moderno artistico. L’esito ultimo della filosofia è una «poesia» che, attraverso richiami classici, tenti di invertire la rotta, di tornare indietro, indietro, troppo tardi, in una sorta di nostoi impossibile dal tardo-moderno al moderno.
RispondiElimina* di nostos
Eliminalo so, parlo di ciò di cui secondo Wittgenstein si deve tacere... Però anche lui poi ci ha ripensato, con i suoi "giochi linguistici".Ma se questo strano gioco alchemico talvolta diventa "poesia" non possiamo che essere grati agli dei. O al mistero. Ecco perché amo definire la mia una "metafisica di confine". Se poi è ancora illusione chi può dirlo? Che sia almeno scetticismo aperto, vero Ivan? E comunque basterebbe ancora, purché parli con un nuovo linguaggio. Grazie a lei professore, anche della bella chiave psicologica con cui mi ha letto.
RispondiEliminaLe tre liriche di Giusy sono accomunate dal richiamo al mare nella sua valenza di elemento primordiale e archetipo...mi sembra inoltre di scorgere sotto i versi un tentativo di assaporare una dimensione acronica del vivere, una pulsione a fermare in attimi eterni ciò che inesorabilmente scorre (ancora, il flusso e riflusso delle onde). Il mare è anche volto al femminile e le sue baie e ciottoli appaiono confortanti indizi di un ritrovato accogliente utero materno...c'è una volontà di sentirsi figlia, di lasciarsi guidare per mano dalla divinità. Come in tutta la poesia novecentesca all'eterno, alla fissità del mito, al conforto di entità archetipiche si contrappone, con la reiterazione dell'ossimoro, l'ineludibile e dolorosa corsa del tempo, la quotidianità, l'assenza dell'altro da sé, l'incomunicabilità. Le liriche quindi segnalano una lotta titanica alle ferree leggi dell'umano. DIo è morto, ma anche NIetzsche non se la passa tanto bene.
RispondiEliminaGrazie Fulvio, la tua profonda riflessione tra psicoanalisi e filosofia, mi riconduce ancora, ma con simpatia, a una dimensione evasiva dove i miei versi sarebbero immersi, come nel liquido amniotico o nelle acque primordiali di un impossibile ritrovamento, ma che nella ricerca di un'immagine numinosa tenterebbero ancora di trovare una risposta, proprio quando nessuno ci crede più.. Nell'isola della follia dove tutto è possibile ho ritrovato anche Nietzsche ..ti assicuro che sta già meglio. Un abbraccio.
RispondiEliminaSe la vita è un dono offertoci dalla morte, la morte è da ripagare col ricorso alla storia, al mito, alle memorie. Vivere è aspirare all'infinito. Qualcuno - un dio o un dèmone - ha posto nel cuore dell'uomo questo assurdo bisogno di travalicare le possibilità della vita, questo pungolo che spinge a uscirne, incalzando di delusione in delusione l'anima sempre vogliosa. E aspirare all'infinito è aspirare alla morte. E' nella natura dell'uomo azzardare sguardi oltre gli spazi ristretti del nostro soggiorno. Andare oltre i propri limiti: "l'uomo va superato", nello stesso modo in cui tutti gli esseri hanno creato qualche cosa che li sorpassa. Se esiste il giorno è perché esiste il buio, se esiste il bene è perché esiste il male, se esiste la vita è perché esiste la morte. Sta in questa dualità, o meglio in questa simbiotica fusione di contrapposizioni eraclitee la vicissitudine dell'essere umani. Superarci vuol dire essere un po' superuomini, dionisiaci; vuol dire cercare quell'isola verso cui va l'immaginazione di Frisina: l'isola di Lèucade, di Hydra,... quell'isola, insomma, in cui l'uomo trova quella parte di sé di cui è carente. Ed è il mito, io credo, e non quello statico, orfico, relegato ad un atto culturale, ma quello mitopoietico, che va oltre, che guarda ad una fase di prolungamento e di rinnovamento del nostro essere, a suscitare in Giusy una spinta verso il mondo irraggiungibile (quello è il suo bello) della purezza estetica; dacché è in noi la spinta, ma anche l'impossibilità di raggiungere la meta per la miopia della nostra caducità. Diciamo che l'arte è il mezzo per avvicinarsi il più possibile all'inarrivabile.
RispondiEliminaLa vita è breve, la morte è eterna: se l'uomo aspira all'eternità aspira alla morte.
Nazario
Certamente abbiamo una prefigurazione della morte come nullificazione, ed è un bene perché è proprio quell'idea che ci spinge alla vita. Altrimenti non ci sarebbe differenza e la malattia mortale sarebbe la depressione, la morte in vita. Ma gettarsi dalla rupe di Lèucade forse non può essere visto solo come un momento di depressione, attraverso cui eternarsi nella morte. Può essere anche rifiutare quella morte in vita che è la disperazione, la peggiore condanna, quella che Kierkegaard chiama "morire la morte dell'io" ovvero il voler essere e non poter essere se stessi...Il salto è anche il coraggio di scegliere di diventare quello che si è, perché quella è l'unica vera forma di vita. Allora quella morte è ancora una volta vita, anche se "solo" immaginazione, abbracciare quel mare e approdare ogni volta, con la poesia, sull'isola felice, raggiunta e mai raggiunta.
RispondiEliminaIl solo sistema di vincere la morte è quello di renderla immortale.
RispondiEliminaPer questo chiudo il mio canto dedicando a Lèucade questi miei vessi:
Ed io fuggii
scabro settembre, mese addolorato,
dal sangue che si sperde in ogni dove
dell’ultimo respiro della vita.
Io ti lasciai e un salto nelle oniriche
acque di Lèucade non non mi concesse
morte né oblio, ma solo la ricchezza
d’immagini feconde rivissute
da un’anima al di sopra delle povere
storie del giorno. E ti rivissi, vita,
con un sentire lieve e tanto amato
che in ogni fatto lieto o meno lieto,
ma scampato, vidi un superbo dono.
Il dono della sopravvivenza dell'anima. Il dono dell’immortalità della morte che si fa eternità dello spirito. Un dono che si porta dietro la vita con tutto il suo bagaglio culturale, onirico, memoriale. E Lèucade rappresenta tutto questo: il cosmo della nostra individualità e la resistenza alla distruzione, all'annullamento. Uno dei dilemmi più assillanti del nostra precarietà è in un interrogativo: a chi consegnare il bagaglio unico e insostituibile delle nostre memorie? C’è chi lo affida ad una fede religiosa, chi ad una politica, chi alla poetica foscoliana delle dolci illusioni, e c’è chi ne affida la sopravvivenza ad un’isola come quella di Lèucade, la quale avvia una rinascita dal tuffo della morte. La morte che si autodistrugge per rendersi eterna nel canto. Una rinascita laica, libera, che si porta dietro tutte le vicissitudini buone o meno buone, anche ferali, che dopo il tuffo si fanno superbo dono. Sono immagini. E le immagini si differenziano dalla realtà cruda. Decantate in animo, tornano ad esistere e chiedono nuova vita. Sono quelle che, attorniate dal sentire, costituiscono il pane della poesia. Il terriccio fertile del canto. Di un canto che può nascere da Lèucade come da Hydra, come da una via crucis, in quanto mai ci rende soddisfatti del suo conseguimento, perché siamo imperfetti e destinati a generare cose imperfette, come la parola. Uno strumento umano insufficiente a concretizzare gli input emotivi che ambiscono a staccarsi dalla terra per volare a Lèucade. La morte che muore per farsi eterna sull’isola dei sogni, carissima Giusy.
La tua poesia vince la fine nel suo tentativo di trasferire l’imperfezione umana in quel regno che più si avvicina all’inarrivabile.
Nazario
Forse è anche una ricerca religiosa, o meglio spirituale, caro Nazario. Qualche anno fa ho scritto qualcosa per una persona cara che ha scelto, come a Lèucade, di morire fisicamente,con un salto. Si intitolava "Al Mistero" . Era una promessa, che mantengo continuando a scrivere. Eccola:
RispondiEliminaal Mistero (20 giugno 2010)
Si muore solo di dolore
forse per un errore di natura,
dicono,
che ci ha resi consapevoli...
non certo di un dio ingannatore.
Ma non mi accontento dei disegni
imperscrutabili
né della casuale vicenda che ci intrappola.
E non mi abituerò all'Assurdo:
voglio solo sapere
cosa c'è dietro l'angolo.
lo urlerò all'infinito
col mio silenzio ostinato
AL Nulla o al Mistero
finché non avrò risposta.
E rimarrò affacciata sugliabissi
del buio che inghiotte
chi non ha avuto un giorno di pace
nell'anima prigioniera.
E che non ho potuto,
ancora una volta,
salvare.
Ecco perché mi sono rifugiata a Hydra...Ma ogni tanto torno su Lèucade.
.
Hai pienamente ragione, carissima. Una ricerca spirituale che continua all'infinito, attraversando strade dolorose, cosparse di fosse profonde come avelli, come afferma il mio amato Baudelaire. E' proprio questo slancio continuo verso il mistero dell'oltre che ci tiene vivi e che ci dà l'energia emotiva per scrivere poesie tanto coinvolgenti come questa tua. E credo proprio che nasca dal dolore, dal travaglio della vita, e dalla sua memoria quell'input spirituale che da Lèucade volge lo sguardo verso Hydra. Basta non restarvi chiusi; ma continuare il viaggio oltre le colonne che aprono sguardi verso l'orizzonte illimitato del mare.
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