Lidia Guerrierri, collaboratrice di Lèucade |
Buonasera,
Professore, ho letto le poesie da “ I dintorni della solitudine” che avevo
trovato su internet, quelle nell' articolo di Linguaglossa e una mi ha colpita
in maniera particolare “La solitudine del mare”. Sono tutte belle, ma questa ha
qualcosa che mi ha “ presa” ed ho cercato di dirlo in maniera semplice perché
io non sono brava a commentare. Le mando quello che ho scritto solo perché sappia
cosa ho provato; chi critica la sua poesia non ha idea di cosa voglia dire
saper emozionare.
"Possente,
volubile, traditore, padre che nutre"..in quanti modi l'abbiamo letto e
cantato il mare!? Ma l' incipit della poesia “ La solitudine del mare “ di
Nazario Pardini mi ha colpita. “Sono solo e l’inverno mi percuote”: noi ci
vediamo piccoli e spersi nell'universo, e lo sappiamo che questa sensazione
appartiene all' “essere uomo”, ma questa lirica si apre su un panorama di più
vasta solitudine: la solitudine di tutto, la solitudine come “ catena”
universale, la solitudine a cui non c'è rimedio. “ Sono solo e l'Inverno mi
percuote”: così, semplicemente, il mare presenta se stesso; un verso scarno,
senza grida né lamenti , una constatazione che rintocca come un colpo a
martello ;non “ sono potente, sono eterno, sono immenso “ o altro, ma “ sono
solo”. E' questa la pena originaria, quella che non si supera se non per brevi
istanti quando qualcosa graffia il guscio che imprigiona ognuno di noi. Ed
anche la reazione del mare è umana: ... solleva le onde, cerca di sbirciare gli
addobbi di Natale nelle vetrine, aspetta trepidante la breve compagnia di
qualche innamorato, vuole un contatto; ...è uno di noi! perché anche lui, anche
le forze della natura alle quali spesso addebitiamo le nostre pene non sono
onnipotenti poiché tutto è sottomesso ad una forza superiore che non so se sia
corretto chiamare Fato. “....l'Inverno mi percuote” solitudine e pena...non
solo quella che viene dall'esterno, ( dalle frustate del vento per il mare,
dagli altri per quanto riguarda noi,) ma anche quella, ben più terribile che
sale dall'interno, dalla coscienza delle nostre colpe. Ma se è doloroso sapere
di aver sbagliato, è devastante il sospetto che potremmo non essere del tutto
colpevoli nel senso che mentre una colpa volontaria permette un riscatto, il
pensiero, invece, che potrebbe esserci un limite al nostro libero arbitrio
rischia di farci sentire non innocenti, ma schiavi di forze che ci
toglierebbero sia la possibilità del riscatto e del cambiamento che l'orgoglio
della scelta. Il mare sa le conseguenze delle proprie azioni e ne sente il
peso, cerca di purificarsi, e in preda all'angoscia, si libera dalle tracce
concrete dei suoi “ misfatti”
tronchi, detriti, ciocchi e tavoloni,
spurgo ogni cosa che mi porta il fiume,
e riempio la spiaggia di vestigia,”.
spurgo ogni cosa che mi porta il fiume,
e riempio la spiaggia di vestigia,”.
Ma non ha forse
una qualche giustificazione chiedersi se sia giusto il suo tormento, se a lui
sia da addebitarsi il pianto della madre che nei suoi fondali ha perso il
figlio? In fondo il mare è costretto dal vento a sollevarsi...il vento è
costretto a diventare violento da certe condizioni ...è una catena che ha
origine...dove? Lui si tormenta, ma fino a che punto è colpevole ? E allora lo sguardo
si sposta su tutti noi, piccoli, fragili, insignificanti granelli di polvere
persi nell'immenso ed è lecito chiedersi dove per tutti sia il confine della
colpa. Fino a che punto io posso scegliere? Giuda “scelse” di tradire Cristo ?
O fu destinato a questo compito? Se le Scritture avevano previsto tutto, se
Cristo doveva morire per noi ci doveva pur essere uno che fosse strumento,
chiunque fosse!
Mi allontano dal
verso, o forse no...è certo che, leggendo, noi diventiamo partecipi del
tormento di questa creatura d'acqua che ci assomiglia, che si sente sola,
colpevole, che aspira ad un riscatto, prigioniera di se stessa, in balia di
forze esterne e di tormenti interni, una creatura senza pace, che cerca ma non
trova, che si fa domande ma non ha risposte, che vorrebbe capire ma tutto
ignora.
Il mare.... tutti
noi.
Lidia Guerrieri
DA I DINTORNI DELLA SOLITUDINE, GUIDO MIANO, 2019
LA
SOLITUDINE DEL MARE
Sono
solo e l’inverno mi percuote
coi
suoi venti freddi e burrascosi.
Innalzo
le onde fino al sommo cielo
e le
porto alla strada per sbirciare
gli
addobbi di Natale. Ogni tanto
mi
vengono a trovare dei ragazzi
innamorati:
seduti sul pattìno,
allungano
lo sguardo, incatenati,
tra un
bacio e l’altro, fino all’orizzonte.
Mi
fanno compagnia. La solitudine
mi fa
pensare al mondo, al mio vagare,
mi fa
pensare ai giorni dell’estate,
ai
tanti corpi immersi dentro me,
alle
grazie di giovani fanciulle
che mi
lisciavano il corpo. Ora ricordo;
vivo
nel rievocare quei momenti,
mi
sento triste se mi torna in mente
il
pianto di una madre e il suo inveire
contro
la risacca, e la corrente,
che
portarono via un figlio in fiore,
sperso
nei miei fondali. Ma a pensarci
sono
tanti i mortali sprofondati
nelle
mie cavità. Ora son solo;
alzo
le braccia al cielo e mi imburrasco
per la
forza di un vento che d’inverno
mi
assale con frustate. Se m’incontri
di
questi tempi ombrosi e nuvolosi,
quando
il respiro mio si fa più denso,
mi
vedi in piena angoscia. Tiro fuori
tronchi,
detriti, ciocchi e tavoloni,
spurgo
ogni cosa che mi porta il fiume
e
riempio la spiaggia di vestigia;
si
fanno le mie acque intorbidite;
trovo
la pace solo se la luna
frantuma
le sue chiome in tante scaglie.
Allora
mi riposo. Puoi vedermi
quando
arancio le guance e tingo il cielo
degli
amplessi fecondi che dal dentro
fuoriescono
per visualizzare
l’inquieto
stare chiuso dagli scogli
senza
poter sfuggire oltre le sponde.
Senza
poter capire, e mi tormento,
quello
che fuori esiste; e che mi è ignoto.
Grazie Professore; avevo scritto solo per farLe capire quanta emozione mi avessero dato questi versi e non mi aspettavo l'onore di vedermi su Leucade dove approdano commenti ben più autorevoli. Grazie.
RispondiEliminaLidia ti ringrazio di cuore per aver introdotto questa lirica e per avermi concesso di leggere la tua splendida recensione così attinente alla poesia. Nello scorrere i versi ho tremato. Nazario ama il mare quanto me, è spesso presente nelle sue poesie e, in questa occasione, diviene l'io narrante. L'artista cede lo scettro alla voce dell'infinito elemento dal quale siamo nati, al quale spesso si sceglie di tornare, come in un immenso grembo. E la voce narra il mare 'che brucia', come sono solita dire, il mare che accoglie "I ragazzi che si amano" così cari a Prévert, lo strazio di una madre, che perde il figlio nel tumulto delle onde,il mare che riflette sui mali del mondo, libero e, di colpo prigioniero, proprio come ognuno di noi. Lidia afferma che il mare 'diventa noi' e dà senso pieno a questa lirica che stordisce, che crea l'empatia assoluta tra l'uomo e la natura. Baudelaire scriveva: " Uomo libero amerai sempre il mare / il mare è il tuo specchio/contempli la tua anima nello svolgersi infinito della sua onda" ... E in questi versi la simbiosi si compie. Il mare s'identifica con gli uomini, ragiona come ognuno di noi, ci consente di contemplare la nostra anima specchiandola nella sua. Un capolavoro. Grazie a Lidia e al nostro Condottiero. Quanto può arricchire una poesia!
RispondiEliminaMaria Rizzi
Gentile Maria! sempre presente con la tua bella parola di accoglienza. Grazie!
RispondiEliminaGrazie anche a Lidia che con tanto garbo e competenza (ed eccessiva modestia!) esprime grandi verità.
Sono tutti tributi,giusti e ricchi di affetto, a cui mi associo, rivolti al grande valore del nostro "Condottiero"
Edda Conte.