A
proposito di "NON POESIA"….
Maria Grazia Feerraris, collaboratrice di Lèucade |
Sono
sempre restia a contribuire ai dibattiti teorici su cosa sia o non sia poesia,
tema che so appassionare molti che ne scrivono con insistenza: condivido il
pensiero di W. Szymborska, che dice:
« La poesia -
Ma
cos'è mai la poesia?
Più
d'una risposta incerta
è
stata già data in proposito.
Ma io
non lo so, non lo so e mi aggrappo a questo
come
alla salvezza di un corrimano. » e
commentava, ricevendo il Nobel: “Ma non
ci sono professori di poesia. Se così
fosse, vorrebbe dire che si tratta d'una occupazione che richiede studi
specialistici, esami sostenuti con regolarità, elaborati teorici arricchiti di
bibliografia e rimandi, e infine diplomi ricevuti con solennità. E questo a sua
volta significherebbe che per diventare poeta non bastano fogli di carta, sia
pure riempiti di versi più eccelsi – ma che è necessario, e in primo luogo, un
qualche certificato con un timbro. Ricordiamoci che proprio su questa base
venne condannato al confino il poeta russo, poi premio Nobel, Iosif Brodskij.
Fu ritenuto un “parassita” perché non aveva un certificato ufficiale che lo
autorizzasse ad essere poeta... Il poeta, se è vero poeta, deve ripetere di
continuo a se stesso “non so”….Con ogni sua opera cerca di dare una risposta,
ma non appena ha finito di scrivere già lo invade il dubbio e comincia a
rendersi conto che si tratta d'una risposta provvisoria e del tutto
insufficiente. Perciò prova ancora una volta e un'altra ancora, finché gli
storici della letteratura non legheranno insieme prove della sua
insoddisfazione di sé, chiamandole “patrimonio artistico”...
E
questo potrebbe già bastare…ma il tema è ricaduto investendo due artisti e
critici, personaggi noti e importanti
che fanno parte, per motivi diversi, delle mie letture quasi quotidiane.
Più
volte Giorgio Linguaglossa ha
sottolineato la necessità di un nuovo
impegno dello scrittore e del discorso poetico. E lo fa con il suo stile
impetuoso, ironico e ruvido condannando
senza appello gli esempi di autori contemporanei “minimalisti “(come V.Magrelli, V.Lamarque, Buffoni… ) e
risalendo via via ad autori notevolissimi come V. Sereni, estendendo il suo
giudizio ai loro “nipotini” epigoni
senza forza né idee, anacronistiche, dimentichi di passato e presente,
indifferenti alla critica severa. Del resto è anche convinto che ogni tipo
di sperimentalismo sia finito nel 1956, con Laborintus di Sanguineti, e che quando Andrea Zanzotto pubblica La Beltà sia
arrivato in ritardo, … : “Zanzotto è un autore post-moderno, epigono tra gli
epigoni. Forse il più grande tra gli epigoni.” E che quando Montale abbandona
il suo antico stile con Satura (1971)
cambiando stile e “accetta di misurarsi con il linguaggio relazionale della
comunicazione interpersonale, compie una operazione che ha avuto una profonda
influenza sulla poesia italiana che seguirà, compie un anacronismo, ma
all’incontrario… ” Aggiunge che purtroppo si è diffusa una poesia per tutti
“fatta da ognuno e da tutti”, inconcludente e
autodistruttiva fatta di
illusioni.
Su
questa linea critica gli è possibile
dire: “…il mio tentativo che perseguo ormai, con alterne vicende e fortune, da
più di trenta anni, è rivolto verso «lo spazio espressivo integrale», verso una
poesia che ha messo definitivamente in soffitta l’ontologia poetica del
novecento italiano, per una lotta verso
lo svecchiamento della poesia italiana è e sarà lunghissima e durissima ..”: ed
è su queste riflessioni che è nata la Nuova
Ontologia Estetica.
“Nella
«Nuova poesia», non c’è un senso compiuto, totale e totalizzante e
unidirezionale. Il senso si decostruisce nel mentre si costruisce. Non si dà il
senso ma i sensi. Una molteplicità di sensi e di punti di vista. Come in un
cristallo, si ha una molteplicità di superfici riflettenti. Non si dà nessuna
gerarchia tra le superfici riflettenti e i punti di vista. Si ha disseminazione
e moltiplicazione del senso. Scopo della lettura è quello di mettere in
evidenza gli scarti, i vuoti, le fratture, le discontinuità, le aporie, le
strutture ideologiche e attanziali piuttosto che l’unità posticciamente
intenzionata da un concetto totalizzante dell’opera d’arte che ha in mente un
concetto imperiale di identità… in nome di una ontologia fenomenologica capace
di assumere di «lasciar/far vedere il fenomeno per come esso si mostra» (Derrida)
– a far luogo da un linguaggio rinnovato alla radice (ripensato),
filosoficamente (nell’accezione ordinaria del termine) scandaloso.”.
Questo,
per capirci, il primo tema di riflessione. E veniamo ora al commento che ha
tanto disturbato Nazario Pardini, mite e generoso poeta e critico, colto e
sensibile, di lunghissima navigazione poetica, capace di porsi dal punto di
vista più diverso e di recepirlo…che questa volta è giunto ad esprimere direttamente e senza filtri il
suo dissenso.
Nazario
ci ricorda che la “ sana espressione poetica (è) basata su: natura, memoriale,
sentimento, passione e musicalità”: “La musica è amore in cerca di una parola”
(Sidney Lanier). Se Dio vuole tanti hanno intrapreso la rotta verso l’isola di
Lèucade; quella che tende a valorizzare l’uomo e la sua storia, dacché la
poesia non potrà mai essere asettica, spersonalizzata, senza riferimenti a
quella interiorità che la partorisce: “Noi siamo quello che ricordiamo/ il
racconto è ricordo/ e ricordo è vivere” (Mario Luzi). “La vita è l’arte
dell’incontro”, afferma un poeta brasiliano, Vinicius De Morales, “e vita e
poesia sono la stessa cosa”. Socrate: “... Conoscere è ricordare...”.
Scriveva
Erich Fromm: “I sogni sono come un microscopio col quale osserviamo le vicende
nascoste della nostra anima”. “La memoria è tesoro e custode di tutte le cose”
(Cicerone)…
Non ho
mai sentito dire che ogni cosa presa di per sé è poesia. Ogni fatto, ogni
avvenimento, ogni sprazzo di mare ha bisogno di intingersi del nostro essere
per mutarsi in atto estetico. La storia insegna e purtroppo il moderno le più
volte distrugge ciò che è nasce per farsi eterno.”
Lidia
Guerrieri, commentando, si oppone vibratamente all’incipit dell’articolo di
Linguaglossa: “Per la poesia di Nazario Pardini è come se la civiltà
tecnologica e lo sviluppo capitalistico non ci fossero mai stati, sono
semplicemente ignorati. Si badi, non negati ma ignorati. Pardini allestisce uno
scenario bucolico arcaico, che è come dire che la materia del mondo tecnologico
non lo riguarda affatto e che l’evento storico destinale della comunità storica
non è mutato granché dalla civiltà pretecnologica a quella tecnologica”-, affermando con emozione: “La poesia di
Pardini è molte cose, e fra queste è anche poesia della natura, degli affetti
che ci hanno forgiato, della memoria, e la memoria è quello che ci rende ciò
che siamo sia individualmente che collettivamente, che ci fa uomini, la sola
arma che abbiamo contro il nulla. La religione della memoria è in ogni poeta, è
in tutti, e la poesia del ritmo, dell'armonia, del battere e levare viene da
lontano, ed ha fatto così tanta strada da non fermarsi di certo di fronte a chi
vorrebbe metterle un fuscello fra i piedi…”
Anche
Marisa Cossu ci riporta direttamente a
“Poesie inedite di Nazario Pardini“ (Articolo pubblicato dal Blog “L’ombra
delle parole”) affermando con un ripensamento misurato che “…La poesia dei
secoli venturi ha bisogno di un Progetto vasto sul quale è lecito interrogarsi
e manifestare le idee che lo sottendono: una poesia fondata su valori etici
oltre che estetici, aperta all’altro da sé, immersa nella Natura, anche in
quella che le realtà virtuali propongono e di cui siamo parte. Ma il fascino di
un mondo in cui la natura sia madre della vita e a cui si possa ricorrere per descrivere
passioni, sentimenti, atmosfere e memorie, non dovrebbe mai venir meno, perché
salvifico, consolatorio e riccamente espressivo. Del resto se il poeta è
testimone privilegiato del suo tempo, resta tale nei diversi momenti e
movimenti della storia,…”. E come non condividere?…
“Nazario Pardini, costruendo ponti tra la
tradizione e la modernità con l’onestà, la purezza e la profondità delle parole
che suscitano emozioni,….( crea poesie che)
recuperano la memoria, rendono viva una interiorità che ha radici nel
vissuto e nel miraggio. Se poi queste opere accettano di confrontarsi con
regole compositive, e si parla di metrica apprezzata e riscoperta come perla
rara nel mondo indifferenziato
dell’improvvisazione.” E conclude: “ In Nazario Pardini è tutto
chiaro: si tratta di amore per l’Arte,
ispirazione viva, soffio che comprende, trasfigura ed eleva la parola a quella
funzione sacra e sociale che mai dovrebbe essere trascurata quando si vuol
comunicare l’interiore meraviglia verso l’infinito inconoscibile. Si tratta di
Poesia, quella che fa battere il cuore abituato a tanta bruttezza e che attrae
per il messaggio del bello trasmesso attraverso un linguaggio chiaro e fluente,
una versificazione armoniosamente sorretta da endecasillabi e settenari e da
figure poetiche rilevanti.”
A me
sembra che i commenti siano meditati ed
adeguati, giusto riconoscimento al POETA
Pardini, oltre che all’uomo di cultura e di saggezza, esperto senza
esibizioni anche di tecnologia moderna, e conduttore di un quotato blog
letterario, e al di fuori di ogni polemica.
Del
resto sappiamo che la poesia, bisogno inscindibile dell’uomo, sia che tenti
sperimentazioni anche azzardate, sia che attinga alla memoria, alle passioni
che delineano la vita, (senza i patetici sentimentalismi di chi piangendosi
addosso crede di aver raggiunto il dolore universale) rimarrà eterna, al di là
di tutte le teorizzazione e le mode e
continuerà ad avere storicamente la sua vita, sia che si occupi di umili
cose, sia che si sostanzi di colti approfondimenti filosofici.
Quale
autorevole, impegnativo e sofferto sia
stato il percorso poetico di Pardini lo ha dimostrato in tutta la sua opera, ma
in particolare, io credo, nel poemetto "VERSO LA LUCE", testè pubblicato ( e da me commentato) su
Leucade, dal quale si evince la profondità del viaggio poetico di Nazario
Pardini, che ci indica "la
bellezza" della parola alta della poesia e ci conduce a una sofferta
problematica umana: “Ma quando scorsi i tratti
del mio fiume,/ la casa stretta delle mie memorie,/e i
prati sanguinosi della sera,/forse non era luce,/forse non era/ quella che io
bramavo,/ma pur sempre la luce, quella chiara,/ quella di casa mia. / Chi dice
che non fosse/quella che io cercavo.”
Ma
credo infine, e non desti meraviglia, che anche G. Linguaglossa non sia poi
troppo lontano da questa visione.
Mi è
capitato di leggere e commentare una sua poesia che ho molto apprezzato -“Una
ridicola orchestrina a piazza Winckelmann”-in cui si immerge in una piazza Winckelmann metafisica eppur così romana, dove lo squallore
dell’aiola di ghiaia e l’ovvietà quotidiana di panchine di legno, con
orchestrina e giostra convivono in una apparenza lieta e nel contempo
raggelante… Nondimeno ci si può perfino
divertire. La giostra ruota lentamente, l’ocarina singhiozza, il sultano
Salhaheddin, con la scimitarra sguainata, è solo un’immagine di carillon….La
nostalgia ha un sapore acido e solitario. Un film in bianco e nero. La giostra
continua a girare e tutto si trasforma, cambia di posto: Beatrice sbaglia il
suo posto, si innamora senza speranza di Orlando, l’Ippogrifo è solo un innocuo
cavallo a dondolo, l’Inferno una foresta incantata come quella di Ariosto…lo
spazio è solo immaginazione nel tempo inventato che è sempre e solo eternamente
presente, dove l’io si dissolve. Sopra di loro
Achamoth, un imbecille!, ‘sapienza inferiore’ generata da Sophia,
vorrebbe dare razionalità alla storia: un illuso.
Mondo
complesso e senza speranza quello di Linguaglossa,.. E intanto la giostra
ridicola continua a girare in Piazza Winckelmann, una piazza di Roma….L’ autore
(così come i suoi sentimenti) è ben riconoscibile: quell’ego che è stato
cacciato dalla porta, mi pare proprio sia rientrato da una apertura
secondaria…meno vistosa e meno diretta, ma ben individuabile.
Maria
Grazia Ferraris
Leggo sempre con vivo interesse le sue note critiche e mi trovo sostanzialmente d'accordo con le sue chiare edotte argomentazioni. La ringrazio per aver citato il mio articolo mosso da grande passione per la poetica e per il mondo pardiniano. Un cordiale e affettuoso saluto.
RispondiEliminaGrazie a lei e alla sua presenza sul blog. Ricambio affettuosi saluti.
RispondiEliminaHo come sempre ammirato l'accurato saggio di M.Grazia Ferrari, che ancora una volta arricchisce questo blog con la profondità del suo sapere.
RispondiEliminaI miei affettuosi complimenti alla Ferrari e parimenti a Marisa Cossu.
Edda Conte.
Grazie per l'attenzione
EliminaGrazie Edda, ma non sbagliare il cognome!
RispondiEliminaMia cara, vorrei dire che è colpa della tastiera....ma non posso. Ho proprio sbagliato il cognome!! Scusarmi? certo che sì.! Ci sono certi giorni che vivo "un altrove". Tornerò.
RispondiEliminaPer questa volta vorrai perdonarmi. Ti abbraccio con affetto.