IL PESO E LA
LEGGEREZZA
Giocato tra l’onirico
e il surreale, il nuovo lavoro di Maria Grazia Di Mario
s’impone all’attenzione del
lettore per essere
“una storia semiseria ma
soprattutto semivera”, come lei stessa la definisce.
Dopo averne
fruito - e goduto, perché si tratta di un testo che appassiona sin dalle prime
battute - ciò che mi porta a riflettere è proprio l’asserzione dell’autrice:
per metà serio, per metà vero, dunque, il
suo racconto. E
l’altra metà? Spensierata, fantastica,
mi chiedo?
Potrebbe anche
essere ma non mi convince; non del tutto almeno, non al punto di farmi
comprendere le motivazioni profonde che l’hanno spinta a scrivere. No, non mi
accontento; sento che c’è dell’altro dietro il pur evidente surrealismo.
Certo, una
donna che si sveglia una mattina e decide di tagliarsi la testa
perché d’impaccio, pesante
e ricusata, fa
immediatamente pensare a qualcosa
d’irreale, di visionario.
Se, poi, la
stessa viene chiusa in un
cassetto per non farla interferire con la nuova scelta di vita della protagonista che,
senza quell’ingombro, trova
il coraggio di cambiare, di prendersi cura della propria
esistenza, si è ancora più portati
a predisporsi all’inverosimile, ad
un’atmosfera dai toni decisamente kafkiani.
Ma - come detto
- non mi appaga e non è sufficiente ridurre a questo l’opera (così come, ne
sono convinto, anche per Kafka valga lo stesso discorso). Ho, di recente, avuto
occasione di occuparmi dello scrittore
praghese attraverso il saggio di
Sabino Caronia, La consolazione
della sera , che ne mette in
evidenza, sì, le caratteristiche surreali,
convalidate però dall’adesione ad
una realtà comunque presente, non sempre palese e
tuttavia visitabile, accessibile se non ci si ferma in superficie.
D’altro canto,
chi ci garantisce che quello che viviamo non sia illusorio, chi può dirci se la
verità non si nasconda dietro il velo di Maia?
“A differenza
della realtà”, scrive Lacan, (v. in particolare Le séminaire de Jacques Lacan.
Livre. L’éthique de la
psychanalyse, 1959-1960, 1986; trad. it. (2008),
“il reale è
ciò che resiste cocciutamente a
ogni tentativo di simbolizzazione, è un buco nell’ordine simbolico,
è la «cosa»
inevitabilmente perduta, muta, ottusa, liscia, impredicabile, è
l’incontro che non si può non mancare, è il luogo in cui il linguaggio, quel
linguaggio che struttura la realtà per come possiamo conoscerla, finisce, viene
meno, perde i suoi poteri.”, e ancora: “Il reale ha la natura dell’evento, non
del senso, o meglio dell’evento senza senso, e dunque traumatico, in quanto non
può essere elaborato, simbolizzato, reso nominabile. Un trauma, questo è il
punto, che non necessariamente dev’essere accaduto davvero.”.
Bene - tornando
a Maria Grazia ed al suo La donna
senza testa -viene da chiedersi se
l’esigenza di squarciare la cortina di quel velo non derivi proprio dalla
constatazione che, se il mondo vero è diventato favola e coincide sempre più
con la sua rappresentazione, si rende necessario trovare un punto di fuga che
la trascenda pur restando - s’intende - sul suo stesso piano.
Poc’anzi,
citando Lacan, si è parlato di trauma; in effetti, chi avrà il piacere
di scorrere queste
pagine non potrà
non ravvisare un turbamento che,
inevitabilmente, sconvolge Maria,
la giornalista protagonista di
uno strano film, di un sogno vissuto ad occhi aperti.
E lo
smarrimento c’è, com’è normale che sia per una persona che si trova di punto in
bianco a cambiare vita, a sconvolgerla addirittura dando un colpo netto (simile
a quello con il quale si stacca la testa dal collo) alle proprie convinzioni,
ai propri principi. “
Si guardò le
chiappe allo specchio con soddisfazione: finalmente ora l’aveva capito cosa voleva
il mondo, solo una vera, grande, facciona da culo.”.
Finalmente,
ora, aprendo il cassetto, dove la sua testa disperata si rotolava e non voleva
saperne di smettere di canticchiare un motivetto ossessivo e misterioso, si
sentiva forte ed orgogliosa di dirle: “Vuoi stare zitta! Non hai funzionato e
basta...”.
Ma la trappola
è dietro l’angolo, e Maria comincia ad averne il sospetto. Non
starò qui a
svelare l’inganno ovviamente; un’anticipazione, tuttavia,
sento di doverla al lettore: nonostante tutto, quell’esperienza - vicenda sia
professionale che umana.
“Come un
uccello cui viene aperta la gabbia capì che non era la sua testa
a pesare, ma
solo quelle sbarre,
pesanti e insieme
così friabili.”. Come dire che a condizionarci non è la nostra natura,
fatta di razionalità ed istinto in sano e completo equilibrio, ma una serie di pressioni,
di limitazioni che ne mettono quotidianamente in pericolo la stabilità.
Sandro
Angelucci
La donna senza
testa. M. G. Di Mario. Perrone Ed. Roma. 2019
Non ho letto il libro di Maria Grazia di Mario, ma questa esegesi di Sandro Angelucci me lo fa particolarmente amare, dipingendolo come un testo dove il tema femminista che indubbiamente soggiace, diviene spunto per considerazioni importantissime di ordine psicologico e filosofico, sul filo di quella riflessione antichissima, oggi più pressante e pregnante che mai, riguardante il rapporto fra verità e illusione. Lo specchio è l'oggetto intorno a cui ruota la riflessione. Oggetto di vanità particolarmente caro al genere femminile (ma certamente molto apprezzato anche dal narcisismo maschile) nasconde la verità, e fa benissimo il critico ad avvicinandolo al velo di maia degli orientali, trovando anche riscontri nella psicologia di Lacan, che definisce gli eventi "senza senso" in quanto privi della possibilità di essere compresi nella loro verità essenziale. C'è tuttavia un'altra faccia dello specchio su cui l'elaborato fa riflettere, ed è una faccia invisibile, tagliata dal collo e chiusa in un cassetto dove "canticchia un motivo ossessivo e misterioso". Questo specchio invisibile, che noi nascondiamo, può ancora dirci che la verità esiste ed è nominabile, se solo noi lo vogliamo. Bisogna soltanto avere la pazienza di ascoltare le parole che vengono dal silenzio, anziché parlare a vanvera, nominando d'arbitrio un mondo che in tal modo ci sfugge e dilegua lontano.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Complimenti a Sandro Angelucci per aver centrato l'aspetto fondamentale del lavoro di Maria Grazia Di Mario dove si parla di un cambiamento del proprio modo di essere e agire per essere altro. Sandro Angelucci mette l’accento sulla sottile linea di confine tra realtà e illusione in rapporto a quanto accade nella quotidianità.
RispondiEliminaIn ogni cambiamento attuato per propria scelta o per altri condizionamenti vi è sempre un dolore, un trauma. La scelta di “togliersi la testa”, di rinunciare ad essere come si è nella propria essenza e autenticità da parte della protagonista, indica il bisogno di essere ascoltati e accettati da una società che altrimenti non è capace di comprendere.
La protagonista del libro della giornalista Maria Grazia Di Mario con questo gesto di togliersi la testa e chiuderla nel cassetto, si rimette in gioco, si prepara ad un’altra possibilità, diventando altro da sé, con un’altra identità in linea con quanto la società di oggi vuole. Per citare Pirandello che ha trattato il motivo dell’identità in diversi drammi in rapporto all’essere e l’apparire, si può far riferimento a “Come tu mi vuoi” dramma in tre atti dove la protagonista si trova nella possibilità di prendere il posto di un’altra persona ingannando gli altri e forse se stessa…..
Nel caso della protagonista del libro di Maria Grazia Di Mario, la scelta è voluta anche per via delle impercettibili pressioni esterne. Una scelta che la porta a essere come gli altri vogliono che sia, Se questo cambiamento drastico nel suo comportamento e nel rapportarsi alla realtà le da ragione sentendosi riconosciuta e apprezzata come avrebbe dovuto essere anche prima, non vanno perse di vista le conseguenze. Ma alla fine come si è veramente? Come vediamo noi stessi e come ci vedono gli altri?
Questa voleva essere una breve riflessione avendo letto la presentazione di Sandro Angelucci e il commento di Franco Campegiani riferiti al libro di M Grazia Di Mario.
Silvana Lazzarino
Grazie per i commenti all'altezza della recensione di Sandro Angelucci che ha ben colto il significato del mio racconto narrativo ed ha scritto un vero capolavoro critico.
RispondiElimina