Beatrice… dopo…
VISIONE
Ragazza
pensosa
scrutarti
il cuore
rinnova
d’amore
figlia
curiosa
d’ombre
trastullo
ribelli
te stessa
destino
sconcerti
donna
ansiosa
che
cerchi certezze
affidarsi
soffio
di
meraviglia risorgi
bellissima
dubbiosa
armonia
di vento raffina
rapita
nell’aria
turbine
solco
d’incontro
ritrovo
soffermati
un cenno
ritorna
sorriso
di
rombo celeste
che
Natale corona
POST
Sorriso
sfavilla… lacrima titilla…
veilleuse
nottura ricama…
vezzeggia
una voce… BEATRICE…
Marco
dei Ferrari
LA “MAMMA” DI UN POETA
È lo scenario più tragico di
un'esistenza vissuta accanto alla madre.
Nazario Pardini non commenta, nè
pospone la mamma nei dettagli: semplicemente la “vive”.
Ne crea un’icona esistenziale da
proporre a tutti gli amici lettori che vogliono riflettere sul percorso delle
vicende umane dall'inizio alla fine.
La mamma disfatta nel dolore, esiste,
vive, non conosce, non memorizza, ma non spegne nella scintilla dell'origine e
del pensiero del Poeta.
In silenzio annulla l’ego, riduce al
nulla ogni domanda, ma ancora Nazario si chiede, si scava, si elabora una
metamorfosi di ogni valore assoluto o relativo: anche il flusso del tempo
acuisce l'inganno, esorcizza l’incantesimo sino alla relegazione estrema di un
lenzuolo bianco nell'immobilità (pulsante tuttavia).
Per Nazario l'immobilità è mobile e la
larvalità di un'immagine si trasforma in un passeggio a Pisa sulla piazza del
Miracolo: il miracolo di un silenzio rumoroso che trabocca nell’egoità
dilaniata, infranta e affranta dal declino di un corpo deformato, ma amato per il
suo sempre.
E’ il declino inarrestabile di una
generazione che Pardini consimila in sé stesso, rende propria e celebra
nell'adorazione di un sospiro che un irrefrenabile pianto non soddisfa, ma anzi
aggrava, sia pure affinando il dove
Il “mito” di uno sguardo anelato, il “chiamo”
di una voce senza respiro, l'attesa vana di un cenno che potrebbe rasserenare
un attimo, l'attimo di un “fatto”.
E il “fatto” dovrà sì accadere, ma
sempre perviene inaspettato, incredibile, imprevisto a disperare un figlio reso
più fragile con il conseguire di un rapporto apparentemente positivo oltre il
fluire della temporalità più aggressiva che mai.
Pardini amplifica e semplifica il “fatto”
nella fine del tutto e nel compimento di un'esistenza, di un sistema di valori
voluti, acquisiti, rispettati, comparati, insoluti anche.
L'artista non si sofferma solo sul
dolore, ma aggiunge una volontà affranta alla memoria richiamata che presto
sarà perduta a fronte dell'imponderabile che assedia e travolge ogni essere
vivente.
L'ontologia del “fatto” si concentra
poi nella sola parola “mamma” che si coinvolge nella presenzialità dell'Assoluto
essente.
Non esistono alternative: la “mamma” è
unicità primigenia, ontologia generazionale, senza scorciatoie diversificate e
la sua sublimità si eleva qui nel richiamo del figlio, nella voce del Poeta che
ritorna a lei, alla propria genesi (mai abbandonata), al momento della luce
dove il silenzio gelido delle ombre non potrà mai prevalere.
E’ la sinfonia poetica di un grande
artista come Nazario che sa cogliere sé stesso nell'attimo più tragico per
condursi alle “risposte” più intense che ogni “domanda” esistenziale pone.
E’ la serenità progressiva di un nuovo
“incontro” che fuoriesce dagli schemi e riunifica senza interruzioni anomale.
E’ il figlio che ritorna tale nel seno materno immutabile più che mai.
Marco
dei Ferrari
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