Roberto De Luca, Come pioggia sottile, Napoli, Graus Edizioni, 2021
Come
nota Luca Giordano nell’“Introduzione” al romanzo di De Luca (Rocca di Papa,
1963), appare determinante la scelta di collocarlo in un “altrove”.
Questo
racconto di formazione – in cui un gruppetto di giovani, assieme ad altri
co-protagonisti, cercano il sempre difficile avvio alla vita adulta – sceglie
infatti uno scenario non scontato, quella Praga forse un po’ rimossa dall’atlante delle narrazioni europee degli ultimi
decenni (con eccezioni, Milan Kundera in testa), ma pronta a recuperare
centralità nell’immaginario coevo, farcita com’è di riferimenti artistici e
culturali poco o nulla offuscati dai meccanismi di un turismo ormai
globalizzato.
Pur
mantenendo un’evidente linearità narrativa, De Luca sembra mirare a un affresco
esistenziale la cui originalità consiste forse nel decentramento, geografico nei confronti dell’origine
della maggior parte delle sue creature ma anche rispetto a una responsabilizzazione per queste ultime
sempre più difficile da accettare e attuare, nelle frenetiche dinamiche di un
mondo capovolto in cui anche il dialogo con i padri è molto arduo (di “incomunicabilità
tra le generazioni” parla sempre Giordano).
Sotto
la scorrevolezza della trama aleggiano – sulla scia dell’imprescindibile Kafka –
un particolare rilievo dato alle azioni (far “capire qualcosa attraverso i
fatti”, si dice a un certo momento) e un approccio verticale alla profondità
delle cose e all’origine dei comportamenti: attitudine di cui spie possono
essere dotte reminiscenze quali le madeleines – dolcetto suscitatore in Proust
della memoria involontaria – o anche momenti di
confronto surreale come i dialoghi del personaggio negativo Mark con i ritratti
degli avi, nonché della
protagonista femminile Orietta con un gatto (quest’ultimo sullo sfondo di una
sfilata allegorica).
Animano la vicenda alcuni piccoli
eroi tipici dei nostri giorni spinti da un senso di irresolutezza e da un
bisogno liberatorio variamente orientato: l’artista osservatore e dubbioso
(Luigi), con l’amico (Patrizio) semplice ma scevro da complicazioni
sovrastrutturali e dunque predisposto a una naturale amicalità, la ragazza alla
ricerca di una soddisfacente emancipazione (Orietta), il trasgressore (Mark).
In questo scacchiere relazionale il primo, la terza e il quarto risaltano,
legati da un triangolo amoroso che ne evidenzia le rispettive pulsioni; emblematico
però che solo il più modesto Patrizio coroni la propria affettività col
matrimonio...
Un senso di leggera amarezza e apparente interlocutorietà segna il termine della vicenda, insinuando però come l’impalpabile inquietudine che “come pioggia sottile” tamburella su certi frammenti uggiosi possa trovare, ancora una volta, approdo e riscatto catartico nella scrittura. E che Luigi alla fine interrompa subito il suo, di romanzo, è segno certo di un pur parziale scacco, dell’incompiutezza di un percorso. Il viaggio e l’educazione sentimentale condotta lontano da casa, in un mondo come il nostro che ha ormai banalizzato il movimento anche da un capo all’altro del pianeta, richiedono insomma ulteriore riflessione ed elaborazione. Ma – sembrano suggerire le ultime righe – ci potrà essere forse una seconda possibilità. E forse anche un sequel a questo bel libro?
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