BRUNO ROMBI – “Il viaggio
della vita”
– Ed. Le Mani 2011 – pagg. 336- €20,00
Fra i molti scrittori sui quali si è svolta
e si svolge l’esegesi di Bruno Rombi
campeggia la figura di Enrico Morovich, del quale è anche l’erede
letterario. Forse inconsciamente l’autore è attratto dal comune tema
dell’esilio, del fiumano per motivi politici, di Rombi per difficoltà
ambientali. Già nella prima poesia della prima sezione della raccolta antologica Il viaggio della vita, dal titolo Canti
per un’isola, il poeta confessa: “ Qui vivo e muoio / proteso ai vertici
/d’un sentimento./ Strade a scacchiera: / lame che mi tagliano; / tetti a
diporto / fughe che mi perdono. / E infinita, /infinita nostalgia, / quando ne
fuggo. / Perduto nell’immagine di un sogno, / che mai svanisce, / m’impietrisco
alla terra” ( Il tempo, al mio paese).
E ancora nei Canti dell’esule: “Anche questi sono sardi. / I miei fratelli, qui,
sono in esilio. / E, come me, nel cuore, hanno la pietra / del disinganno”.
Ma se la nostalgia per la terra d’origine, la Sardegna , e per la nativa
Calasetta, percorre tutta l’opera di Rombi, essa è sempre più mitigata nello
scorrere del tempo, mentre più salde si fanno le radici nella città
dell’approdo, Genova, di cui l’autore va scoprendo assieme ai risvolti negativi
le possibili offerte di realizzazione. Con la saggezza della maturità, le
contraddizioni appariranno più evidenti, più incresciosi i soprusi, più funeste
le violenze, le guerre, le malversazioni, che però non si presentano peculiari
della città ospitale, ma della disperata constatazione del comune male di
vivere contro cui si eleva una disperata denuncia spesso in chiave simbolica: “Restano
frammenti di vissuto / la cenere del sogno /
il profumo dell’illusione. / E l’ora della campana non arriva / e nessuno ci aiuta a spegnere / le fiamme /
che lentamente bruciano / il mistero” (La
pietà del silenzio).
Dalla vasta cultura di Rombi, che spazia in
lingue, letterature, tradizioni diverse, non poteva non sorgere un collegamento
con i personaggi dei Miti, secondo il
titolo di una sezione. Essi trovano riscontro nel mondo odierno, specie sotto
gli aspetti della brutalità e della crudeltà: “Il cielo non si accoppia più
alla Terra / notturnamente / e Cromo divora tutti i figli / appena generati
dalla madre. / In giorni quali i nostri senza amore / temiamo vendetta dal
Padre / sempre più intorta / nella
scaglia di notte / che ci stringe” (Cromo
e gli uomini).
In una
opera
omnia dalla panoramica così vasta e
desolata non poteva mancare il tema della morte. Esso è contemplato a volte da
avvenimenti dolorosamente reali, come la perdita della madre. Nei commossi
componimenti a lei dedicati il verso che
all’inizio è breve, come in precedenti testi, secondo la lezione degli
scrittori liguri, in seguito si espande
in versi lunghi che trasbordano in una prosa ritmata, sempre musicale, e
presente anche in altre raccolte come Forse
qualcosa. Pur ispirata alla
irreparabile perdita della propria madre, la silloge rivela accenti di delicata
elegia, dove l’assenza tende a trasformarsi affettuosamente in una misteriosa
quanto confortante forma di presenza. La morte della persona amata ispira
invece una intensità espressiva di angoscia e di protesta veramente potente:
“Verranno giorni d’inedia. / Forse sono già arrivati. / Ed io non ho più il tuo
sorriso / cui mi appoggiavo fidente. / Verranno giorni di silenzio / cupi,
senza fondo, / forse vi sono già avvolto / e te non intravedo / che mi incontri
/ scrollandoti di dosso ogni tua pena / per vedermi tranquillo / al tuo fianco.
/ Se la vita è stata bugiarda / a volte, e maligna con me / più volte, nel corso dei giorni, /
giammai fu così atroce / come in quest’ora / in cui ti piango / mio bene, mia
Rosa, / mio asor, mio raso” (Un amore).
Ma la compagna perduta è ispiratrice
anche di altri testi al di fuori della silloge a lei particolarmente dedicata:
“Ed è attesa tremula e triste / che basta una foglia a sfatare / o il trillo di
un passero / che s’alza nel cielo. / E intanto scorre sull’acqua / che, accesa,
riflette una luce, / il senso ancor della vita, / che più tu on hai” (A Rosalia). Il nome della compagna offre
spunto a diverse altre composizioni dislocate nel tempo, come nel Sonetto per Rosalia, in cui il metro, la
terminologia, le immagini classicheggianti
assumono una cadenza rinascimentale: “ Forse una rosa non potrà mai dire /
tutto l’amor che vive nel mio petto, / ma il tuo volto, che ora m’è interdetto,
/ resta un ricordo da non contraddire. // T’ho amata come amar più non si può /
con cuore ardente e con trepidazione /
sereno a pago d’ogni tua attenzione / tanto che amare un’altra più non so. //
Tu che del fiore belo avevi il nome / resti presente non come un ammanco / ma
come se mi fossi ancora accanto / oltre la morte ed io non so più come / ti
stagli d’ogni passo mio al fianco / e mi consoli ancor d’ogni mo pianto”.
L’abilità stilistica di Rombi
trova un’altra esemplificazione in Ora
ritorna a me, nella quale la
presenza femminile consolatoria e vivificante invita a continuare il percorso
umano con l’entusiasmo della gratitudine in una composizione dall’andamento
stilnovista dove la donna è conforto e incoraggiamento all’ascesa:
“Ora ritorni a me sotto la
veste /di chi mi richiama al suo coraggio / di chi non può soffrire che
l’oltraggio / perpetrato da Morte ancora imperi. / Torni decisa a dirmi di
lottare, / di tenere duro finché vita resta / di non dimenticare che mi spetta
/ oltre al dolore anche qualche gioia. / Ed io riprendo a vivere e a sperare /
a lottar contro tutti per avere / ancora un giorno di letizia piena, / ancora
un canto che mi faccia amare. / Dolce creatura
simbolo d’amore / così ritorni nella nuova veste / ed or che le speranze
son rideste / t’allontani nell’aria come un sole”.
Non sempre l’abilità del supremo artifizio
stilistico impera. In altri testi più semplicemente la donna invita il compagno
a non tralasciare il conforto, la necessità, della poesia: “Moriva in me la
poesia / e tu mi volevi poeta / perché con poesia / tu m’hai amato…Ma tu mi
volevi poeta / ed io mi riscopro nel pianto / nel verso duro di pietra / nella
parola di marmo / nel bianco silenzio del cuore / nel canto atroce, ma canto”.
Il consiglio è lungimirante perché la poesia è essenziale per l’autore, anche
se la sua necessità poche volte è confessata, ma per esempio in A
Pedro e Garcia : “O Pedro Calderon de la Barca , / o Garcia Lorca, / è una sporca faccenda
la poesia / se può ridurre un cuore / ad un granello / per sempre consumato
dall’arsura. …follicolo e dolore / testarde ore d’attesa / d’un verso che
s’accenda / di una divina luce / che non
muore, / Calderon / e follia / come la tua, Garcia, / anche la mia”.
Non si può ignorare un altro tema nella
antologia di Bruno Rombi, che è quella della ricerca del divino. Già Forse qualcosa recava nel sottotitolo L’ipotesi di Dio nella poesia di un laico.
Il testo è costituito da una serie di pensieri, considerazioni, confessioni,
speranze e dinieghi che ruotano intorno al problema del Deus absconditus, che
poeta non riesce a risolvere pur patendolo e dibattendolo. Più tranquilla e ottimistica
appare la delucidazione nella sezione finale, nella quale la riconquista della fede, dono
dell’infanzia, appare più possibilmente
certa nell’abbandono pacificatore dell’Exodus:
“ Con l’umiltà del fanciullo / pentito, / l’ardore adolescente, / l’adulta
forza / e l’invecchiata saggezza / mi chino sulla terra / a baciare le orme
/dell’Uomo. / In cerca della via / della verità e della luce / per ritrovare
l’immagine / di quando, bambino, /senza vergogna o timore, / osavo gridare / di
fronte a tutti: ‘Credo in Dio!’.”
LIANA DE LUCA
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