Nazario
Una poesia, Oggi è l'antico una preghiera, che si fa pluralità di intenti emotivi. Sono l'impiego degli stilemi, delle figure allusive, le tecniche espressive a dare forza al supremo bagaglio esistenziale della Busà; bagaglio, che, cresciuto col tempo, col diacronico succedersi degli accadimenti e con le successive meditazioni sull'esistere, si è espanso in parola. Parola desanctisiana. Parola totale, viva, umana, e sovrumana; parola che contiene il sapore del vivere e dell'esserci con tutte le inquietudini del fatto di essere umani. Parola che non si accontenta del semplice etimo, ma vuole scalare le vette ardue de pensiero filosofico, del pensiero pascalianamente dicotomico, umanamente inquietante. C'è qui una lezione sull'arte del dire e del fare poesia. C'è qui un sapiente e generoso impiego del significante metrico: un abbraccio iperbolico, da parte dei suoni, al fatto di esistere. C'è questa vicinanza sconvolgente fra il verbo e le smisurate estensioni dell’azzardo. C'è il sacrosanto peso della memoria, dell'antico, c'è tutta la vibrazione di un'avventura che vuole farsi perenne e con la poesia e con gli allacci al domani. E c'è il sogno. L'atto onirico. Quella parte di noi che più ci avvicina all'imponderabile; il limen, la sottrazione implacabile del presente, il recupero con l’atto creativo. C'è insomma la grande forza etica ed estetica, quel polemos di una grande poetessa che ha dato la vita, tutta se stessa alla categoria dello spirito. E l'antico si fa preghiera per dare luce alla ruggine del tempo. Versi che fanno meditare, riflettere, che fanno da punto focale per ogni amante del canto e non solo. Quelle metafore, quelle sinestesie, quegli accorgimenti metrico allusivi a potenziare i significanti. E può essere l'antico il nuovo? Può farsi l'antico speranza in un mondo che gronda insipienza. In un tempo che gronda ruggine. E che sia preghiera! D'altronde quando è che ci facciamo complici col Cielo, effondendo le nostre preghiere? Perché lo facciamo? Lo facciamo per chiedere il bene, lo facciamo per coprire quei vuoti di cui si nutre l’insufficienza umana. E allora che preghiera sia! Già nell'intenzione c'è la speranza di un mondo migliore.
Ninnj Di Srefano Busà
Oggi è l'antico una preghiera
Un sogno è sempre un confine,
un nuovo che evoca forme alate
all'agosto che in mare si versa,
come Meobe nell'occhio dell'uragano.
Mentre il sole si alza
e dietro l'orizzonte svolano
ampi uccelli variopinti.
Non ho segreti mie ombre,
numi e protettrici che serrano la vita
come un ramo fiammante
nel folto del canneto.
E voi, pensieri, restate dove il sole
interamente appare una palla di fuoco
o dove l'alba invoca il nuovo giorno
o gli uccelli custodiscono piume
ai nuovi nati, all'ora del tramonto.
Oggi è l'antico, l'immemore
il nuovo confine,
come preghiera sussurra
alla ruggine del tempo
il suo mattino di luce.
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C’è un matrimonio segreto tra poesia e filosofia. Gli indizi di tale misterioso evento sono fortissimi nella poesia della Busà (ovviamente al di là di ogni consapevolezza razionale), e più che mai lo sono in questa fascinosa poesia. Può l’antico avere la freschezza del nuovo? Si, se l’antico equivale all’”immemore” di cui parla la nostra amica in questi versi ispirati. Ci sono saperi ancestrali che l’uomo pone tra parentesi, e naturalmente dimentica, ma che sono pronti ad esplodere in qualunque momento, lavando la “ruggine del tempo” con un nuovo “mattino di luce”. Può accadere in un giorno qualsiasi, imprecisato, quando l’intelletto misteriosamente spezza ogni steccato e – di nuovo vergine – scopre di non avere più segreti per il proprio spirito, per le proprie “ombre protettrici”, lasciandole fluire senza intoppi nelle azioni quotidiane. L’”antico” di cui qui si parla non ha nulla a che fare con la memoria, con i ricordi tramandati. Si tratta di lampi che illuminano la mente, provenendo da regioni totalmente dimenticate. Regioni fuori dal tempo, che s’immettono nel tempo scuotendolo dal proprio torpore. E’ un cuore antico a svegliarsi, un cuore che non è mai invecchiato, né può invecchiare, perché costantemente vive nella vertigine del primo giorno. Il momento è magico e la poetessa sembra porre i propri pensieri al di fuori di se stessa, dandoli in prestito a crepuscoli e aurore, affinché possa compiersi in lei il miracolo del vuoto mentale.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Sento di essere profondamente grata a questi critici che così bene sanno interpretare le profonde latitudini dei miei versi. Grazie, dunque a Pardini e Campegiani, ma grazie, di cuore anche a tutti coloro che con il loro incoraggiamento e la loro stima esaltano il mio "stupor vitae" con la magica e illuminante bellezza delle consonanze poetiche, delle affinità elettive.
RispondiEliminaNinnj Di Stefano Busà
Giovanni Lo Giudice
RispondiEliminaEssi li interpretano, ma è Lei, cara Ninnj, a crearli, a imporre stile e contenuti in una forma che è difficile eguagliare. Allora, complimenti vivissimi.