Qui c’è
memoria, c’è evocazione, c’è storia; ci sono quelle fughe e quei ritorni che traducono in poesia l’avventura,
l’azzardata avventura della
vicissitudine umana. E quello che c’è, ed è importante per l’ars poetandi,
quello che c’è è la parola. Quella giusta, lavorata, ampliata; quella che va
oltre l’etimo per accostare l’intensità dell’animo; quella uscita dalla creatività di un nobile artigiano che lavora,
inventa e intaglia per declinare il suo essere in corpo. Qui c’è tutto il fatto
di esistere. Ci sono quei nessi giusti, quegli slanci allusivi (metafore,
sinestesie, enjambements…) che si arrampicano verso l’alto per catturare il
cielo e rendere le piccole cose degne della parola: “traccio sul ventre le antiche fiabe/ della prima neve”; “Poi indietro, per tutto il corpo gridano/ le
unghie e i polsi, solchi di terre arate/ e gloria di Scirocco africano!”. Nel
Dono si raggiungono vette di spiritualità attraverso sentieri di travaglio e di
rinascita, che fanno dell’uomo un perpetuo e inquieto essere gettato negli
abissi fra cielo e terra: “Trovatore[1]
di voci replicate e ladro di sèmi/ [2] mimetico falsario e coniatore di parabole:[3]/
il poeta sconta la povertà della parola/ logora moneta ipotecata da
immemorabile scambio”. La grazia di queste pièces è tutta nel saper trasmettere
la complessità del mondo e del pensiero, la complessità degli stadi emotivi con
un linguaggio “sano”, arrivante, culturalmente e intellettivamente propositivo.
Nazario Pardini
Mani cantastorie
Lascia che le mie mani ti
parlino
senza voce dopo quest’ora scossa;
spogliati e ascolta: la tua
pelle
ha atteso già a lungo memoria
di me.
Non ho ereditato carezze
solo mani cantastorie
instancabili
per inventare un alfabeto di
tocchi
e svelarti occhi di bimbi sul
viso;
mormorano le paure, gli urti
lungo la gola e sulla nuca.
Concorrono i lemmi tra le dita
che raccolgo sulla curva delle
spalle
nel racconto dell’età felice:
piantavo
ossi di pesca, ciliegia e
melagrana;
canto lenti labirinti di
petali profondi
frutti rossi, dolci, carnali…
Sostano le palme sul petto
a sanare strappi d’ali
e la schiena è diario aperto
di quotidiane rese e
resistenze.
Traccio sul ventre le antiche
fiabe
della prima neve: mappe del
tesoro
e sentieri di molliche sui
fianchi
per il ballo del re sulla
rocca
e solletico i piedi di scherzi
e giochi!
Poi indietro, per tutto il
corpo gridano
le unghie e i polsi, solchi di
terre arate
e gloria di Scirocco africano!
E ti narro ancora di me,
azzurra
per farti mare e poi cielo. E
pace.
Il dono
L’ergastolo delle Muse all’innocente
eletto all’effimera dignità
dell’Inutile?[1]
È colpevole dello sguardo
che fruga licenzioso
la Terra Promessa della
Bellezza
l’intride col sale e il sangue
dell’immaginazione
dissoda grumi di dolore,
lacera memorie
estirpa, brucia Roveti Ardenti[2]
di passioni
impasta ed alita, soffia
invano nella creta
e ne rivendica ogni forma![3]
È condannato a sentire la
musica del cosmo
nella metamorfica pace della
crisalide
nel lamicare[4]
della rugiada lungo lo stelo
perfetto nel disegno di
un’equazione algebrica;
e a gettarsi in note
concentriche nello specchio[5]
incognito delle proprie ombre:
il peso
dello scandalo[6]
non concede l’immacolato valicare
ad orbite corali, alla ricerca
d’una Luce
che non ha nomi in alcuna
lingua.
mimetico falsario e coniatore
di parabole:[9]
il poeta sconta la povertà
della parola
logora moneta ipotecata da
immemorabile scambio.
Architetto dei paradossi dell’anima
crea ciò che scopre, ma scopre
ciò che crea;
ne resta incompiuta e sempre
sorgente[10]
la Rivelazione che non è
ancora e che non sarà:
la sola libertà del dubbio plasma
l’assenza[11]
Come può cantare ancora?
Invoca nuova manna
in un deserto arido di doni.
[1] L’Arte non dà pane.
[2] Identifica Dio e la Creazione
col proprio sentire umano.
[3] Vorrebbe (ri)creare il
mondo col suo poièin.
[4] Scivolare lasciando una scia lucente.
[5] Superficie riflettente e lago.
[6] Da skàndalon: pietra d’inciampo,
per cui anche: ostacolo, cattivo esempio, peccato.
[7] Poeta-musico e chi
trova/inventore.
[8] Da sèma: segno, per cui: minimo elemento significante.
[9] Da parabàllein: mettere accanto parallelamente, confrontare, per cui: (ciò che è) messo in parallelo, paragone;
parola/espressione;
curva algebrica (fig.); breve racconto allegorico.
Caro Professore,
RispondiEliminasono perfettamente d'accordo con Lei. Deborah è schiva e nasconde nei cassetti le sue liriche. Privandoci di grandi, arricchenti ricchezze!
Per Lei ha fatto una meravigliosa eccezione e ne sono profondamente felice.
Vi abbraccio entrambi! Maria Rizzi
Intensamente evocativa, "Mani cantastorie", e intellettivamente propositiva,"Il dono",-parafrasando Nazario-,
RispondiEliminaqueste due poesie di Deborah mi danno l'opportunità di apprezzare profondamente doti poetiche che non conoscevo.
In modo particolare, le sue mani delicate, parlando, hanno saputo raccontarmi di quando "piantav(a)/ossi di pesca, ciliegia e melagrana" del maturare al Sole di quei "frutti rossi, dolci, carnali". Si, modellano amore quelle dita-parole, amore "a sanare strappi d'ali". E "poi indietro", lungo il corpo,indietro nel tempo e nello spazio "di terre arate / e gloria di Scirocco africano!".
Ti vogliono nudo. E silente, ad ascoltare, mentre nella conca ti portano l'acqua per dissetare la tua voglia di pace.
Sandro Angelucci