Nota su La poetica di
Liana De Luca
La
parola sta alla poesia come il colore al quadro
Mi ha colpito, fra i vari interventi dei
convocati a Roma per la Laurea
Apollinaris Poetica, quello di Liana De Luca sul tema La parola e la poesia. È questo lo strumento primo del poeta: la
parola. Lo ha chiarito con una proporzione calzante: “La parola sta alla poesia
come il colore al quadro”. Ed io, d’accordissimo, ho ribadito il concetto,
insistendo sul lavoro che la poesia
stessa richiede; il poeta, da vero artigiano, deve smussare, sostituire,
ampliare, far riposare e riprendere. Riprendere per lavorare. E lavorare
ancora, finché non raggiunge un appagamento. E la poesia della De Luca è
veramente nuova e interessante. Ho avuto occasione di ascoltarla a Roma e di leggerla pubblicata sul mio blog. Mi hanno convinto
l’intreccio allusivo, la schiettezza, e il realismo del suo dire. Ed ho potuto
rendermi conto di quanto le sue teorie estetiche siano messe in atto. Il suo è
un travaglio continuo, una ricerca attenta, una contestualizzazione maliziosa
del termine. Si parte da un minimalismo spicciolo e quotidiano. Ed è qui la sua
bravura, la sua interessante operazione di osservazione, di scavo, e di
limatura sul materiale fonico-lessicale. Io credo che, di per sé, il termine,
nella sua misura grammaticale, non sia completamente sufficiente a delineare il
mondo, le sue consuetudini; né tanto meno l’anima umana, infinitamente profonda
e misteriosa. C’è estremo bisogno di azzardi allusivi, di impennate simboliche
che vadano oltre il termine stesso. E per raggiungere questa adesione, questa
fusione fra anima e corpo, fra spirito e involucro, occorre proseguire oltre il
sintagma, oltre il suono; occorre abbracciarne gli spazi, confondervisi,
annullarvisi, anche, per agguantare la coda dell’impossibile; farlo con cifre
di scrittura per niente “normali”, ma spinte oltre i limiti della sintassi. È
qui la novità della De Luca, che, attraverso una propensione alla creatività,
inventa, ricerca, e con sconcertante naturalezza, prolunga il verbo fino alla
massima estensione per adattarlo alle sue esigenze creative. Partendo dalle
piccole cose, dai gesti o dagli strumenti quotidiani, sa elevarsi,
strutturalmente, stilisticamente e con cifra personale ad un poièin di alta levatura. Non scade mai,
col suo realismo rappresentativo e intuitivo, nel becero piangersi addosso; il
sentimento è di contorno, e trae luce dalle cose che si fanno nobili nei versi
che assumono significati e significanti di impatto emotivo. È dal reale,
rappresentato con tenacia descrittiva, che il lettore trae il patema giusto per
sintonizzarsi al di lei pensiero. Alla sua interiorità. Dacché lascia al
fruitore la possibilità di leggere, e personalizzare, di scavare e
interpretare. La sua poesia non scorre leggera e fluida sui milieux; ne coglie le parti a lei più
consone, e le re/inventa, con un lavoro di cesellatura, fresche e nuove,
ri/lucidate e ben luminose in quei nessi che, con maestria, cuce con effetti di
sonorità e naturalezza. La poetessa rifugge dal Romanticismo, e da tutto ciò
che comporta con i suoi derivati: via i sentimentalismi, via le sdolcinatezze,
via le effusioni passionali. Tutto è mantenuto su un livello umanamente
concreto e piacevole. La sua scrittura è tutta diretta a dare forza e visività a persone, accadimenti, o a strumenti che
incontriamo o maneggiamo quotidianamente nella vita. Parlerei di un'arte
novativa dove il λόγος e la
sua propulsione la fanno da padroni. E questo vale anche per i suoi
interessanti interventi critici.
03/06/1013
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