domenica 21 dicembre 2014

LUCA GIORDANO PRESENTA: "IL LUPO" DI ANTONIO MOSCATELLO


Presentazione (il 13 dicembre) de "IL LUPO" di Antonio Moscatello, 
Edizioni Kairos


Relazione su “Il Lupo” di Antonio Moscatello.

L’autore è stato avvantaggiato a scrivere questo libro. Esso fa parte della collana “Maigret” della casa editrice Kairos. Il titolo della collana mi ha fatto pensare che, nel trovare le storie per il suo protagonista, il povero Simenon doveva scavare negli incubi di una borghesia tranquilla, inventandosi intrecci, insomma, affrontando le difficoltà che ogni giallista incontra vivendo in una società normale. Noi però siamo in Italia, quindi bombe che esplodono senza che si sappia perché, servizi segreti che si deviano chissà dove, bande criminali che intrecciano i loro traffici con maniaci di ogni tipo e genere, sono all’ordine del giorno.
Per chi si muove nella cronaca, come Antonio Moscatello che di mestiere è giornalista, la difficoltà non è inventare storie interessanti con intrecci complessi, ma rendere plausibili le storie reali che emergono dalle indagini. Qualcuno non avvezzo alla nostra cronaca, ascoltando degli intrecci e dei torbidi italiani, probabilmente risponderà: “Ma no, sei il solito dietrista, il solito italiano Machiavellico.” In Italia Machiavelli lo abbiamo digerito da 400 anni, è un politico di provincia.
Non mi dilungo sulla trama, che c’è ed è avvincente. Parlerò del linguaggio dei personaggi e del retroterra culturale dell’autore che secondo me rendono questo giallo originale e interessante.
Il linguaggio viaggia su due registri, da una parte, nei momenti salienti, quando la sequenza degli eventi incalza, ha una prosa sintetica e scorrevole, presa in prestito dal suo mestiere di cronista. Invece, quando si descrivono gli stati d’animo e i pensieri dei personaggi, si dilunga maggiormente e diviene un testo letterario, con passaggi e stile complessi che rendono ragione della cultura eclettica dell’autore. A tenere insieme queste due linee narrative c’è lo sguardo dell’autore, ben nascosto dietro i personaggi, che ha un’ingenuità di fondo, un’indole fanciullesca, che afferra gli eventi, anche i più assurdi, come scontati. È simile a quei ragazzi che, visto il mare per la prima volta, nonostante questo gli sia sconosciuto e nuovo, vi si tuffano dentro senza troppe cerimonie.
È una scrittura contemporanea. Ormai sempre più spesso, quando si vuole insegnare a scrivere, si fanno vedere dei film, studiare delle sceneggiature, insomma si insegna a raccontare per immagini. E questo Antonio Moscatello lo fa e lo fa bene. Dicevo che è come se l’autore scoprisse qualcosa, in effetti questo è un romanzo d’esordio. Che esordio però! È come in alcune favole africane, dove si racconta di bambini che appena nati camminano, parlano, insomma si comportano come degli adulti.
Moscatello ha studiato al liceo classico e poi all’orientale di Napoli in cui si è laureato come iamatologo, ovvero uno studioso della lingua e cultura giapponese. La sua, quindi, è una cultura poliedrica, proiettata all’esterno dell’Italia. Lo stile e il linguaggio, che abbiamo descritto sopra, sono frutto di questa lontananza dall’Italia. Non si temono commistioni stilistiche purché siano fatte con cura. I dialoghi sono naturali, esplodono o si versano in maniera fluida o rumorosa, ma in ogni caso in modo naturale e gradevole.
Come l’autore stesso ha confessato, ha iniziato volendo scrivere un giallo e gli è venuto qualcosa di più, perché in alcuni passaggi del libro è come se covasse il desiderio di andare da un’altra parte e dicesse “No, questo è un giallo, non posso fare digressioni”.

La presenza del lupo sottende tutta la narrazione. È come un filtro colorato davanti all’obiettivo di una cinepresa. Vediamo tutto un po’ avvolto da questa luce. I personaggi hanno tutti un momento in cui sono lupi gli uni con gli altri. E qui parliamo non del povero animale che sta in copertina, ma di “Homo homini lupus” espressione di Plauto, che ha poi ripreso Thomas Hobbes ne “Il Leviatano”. È l’idea che comunque ciascuno di noi, al fondo, pur di andare avanti, si comporta come un lupo con i suoi simili. Tutti personaggi hanno un loro momento in cui sono lupi, anche se alla fine i “cattivi” ci sono e sono molto cattivi. Per quelli che non lo sono c’è un riscatto. Nella conclusione, scoprendo che la famiglia non è un luogo caldo e protettivo, il protagonista cerca una definizione per dove ci si sente in famiglia. La conclusione è che ci si sente in famiglia dove si è voluti bene. In questa espressione c’è un’ingenuità che mi è piaciuta in questo racconto, ingenuità non dettata dall’inesperienza ma, al contrario, nata da un modo di vedere le cose fresco e giovanile. 

Luca Giordano

2 commenti:

  1. Sono grata al Professor Nazario per aver pubblicato le relazioni di Luca e di Loredana D'Alfonso allo scrittore Antonio Moscatello, presentato sabato 13 da noi IPLAC alla Libreria Arion Monti con grande successo. Credo che il rinnovamento della Cultura nasca anche e soprattutto dalla valorizzazione delle qualità dei singoli. Nel nostro gruppo i libri vengono presentati da tutti. E tutti si mostrano esemplari nell'analisi delle Opere. Centrati sui romanzi, mai su se stessi, snelli, tesi a integrarsi l'uno con l'altro. Queste modalità di presentazione si stanno rivelando più che soddisfacenti per gli Autori. Sabato 13 i romanzi di Moscatello e di Fasciano sono stati acquistati anche da coloro che entravano per caso nella Libreria! Mi sembra sia il caso di perseverare... Approfitto di questa illustre sede per ringraziare tutti i meravigliosi compagni di viaggio!
    Maria Rizzi

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  2. La prima cosa che noti, leggendo Il lupo, è che scorre come un ruscello, una pagina tira l’altra, vai avanti, e scorre sempre più forte. Non lasci il libro sul comodino perché vuoi continuare, e mentre rosicchi qualche minuto qui e là alla tua giornata, la lettura avanza. Non te ne accorgi, ma passo dopo passo, capitolo dopo capitolo, questo ruscello cresce, diventa un torrente, poi un fiume in piena. Comunque l’acqua scende veloce, e se prima è cristallina, arrivando al fiume diventa torbida. Tutto si calma nella conclusione, il fiume finisce in un lago, non nel mare, perché non è immensa la fine, piuttosto sembra una tavola calma, con residui borbottii, un po’ tremante, grande, ma non immensa, come se l’autore volesse riconciliarsi con il mondo dopo aver esplorato gli orrori dell’animo umano. Sta di fatto che arrivi alla fine che neanche te ne accorgi, e tutte le vicende che hai vissuto in queste circa duecento pagine, sono presenti, non le dimentichi. Già, perché a differenza di altri racconti dello stesso genere che richiedono massima attenzione per i dettagli, qui gli stessi dettagli vengono dosati gradatamente, uno alla volta e non passano inosservati.

    Mi ha colpito è la gradualità con cui cresce il corso d’acqua che, senza nessun intoppo, senza obbligarti a tornare alle pagine precedenti per rileggere quel particolare che andando avanti hai dimenticato, è così ben architettata che il ritmo rasenta la perfezione. Ogni tanto, sì, appare qualche guizzo che intende aggiungere altra vita nel flusso, e come un salmone che salta nell’acqua si presenta al lettore che sorride, senza però distrarsi.

    Il protagonista, Marco, è un giornalista affermato sulla quarantina. Facendo un servizio su un orrendo infanticidio, Marco si deve confrontare con una sua orrenda verità nascosta. Non si sa di cosa si tratta, ma con l’aiuto di Leda, una giovane e bella giornalista, Marco comincia a scavare nel suo intimo, per capire da dove viene quel grumo, quel mostro che lo attanaglia bloccandolo e torturandolo. Comincia così un viaggio nell’orrore, un’indagine apparentemente innocua che porta i due giornalisti a scoprire un mondo infame e spietato.

    L’equilibrio e la leggerezza della narrazione consentono di catturare l’attenzione del lettore senza stancarlo, e il narratore affronta con rara maestria l’esplorazione nell’avidità dell’animo umano. I fatti che vengono narrati riguardano direttamente i due protagonisti, tra i quali nasce inevitabilmente un forte legame.

    Con descrizioni molto sintetiche e dialoghi perlopiù vivaci, questo libro si presenta come un giallo. Certo, gli elementi ci sono tutti, dall’omicidio irrisolto alle trame della malavita, ma non sono questi il fulcro della storia. La parte più importante, infatti, è la capacità di scavare nella memoria, fino a poter rivedere fatti successi nella prima infanzia. Il trauma vissuto da Marco bambino è la guida dei due improvvisati investigatori che, tra una scoperta e quella successiva, ricostruiscono un complesso rompicapo che consentirà a Marco di saldare un debito con la sua memoria. Il bello di questo giallo (o thriller, non importa come lo si cataloghi) risiede proprio nel fatto che non è un giallo. I personaggi non sono solo utili allo svolgimento della trama, ma sono oggetto e causa dell’indagine, e appaiono al lettore con i loro dubbi e le loro debolezze, le loro reazioni sono influenzate dai fatti che succedono nel momento della narrazione, e sono fatti credibili. Insomma, Il lupo è un gran bel libro.

    Claudio Fiorentini


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