La solitudine del mare
Sono solo e l’inverno mi
percuote
coi suoi venti freddi e
burrascosi.
Innalzo le onde fino al sommo
cielo
e le porto alla strada per
sbirciare
gli addobbi di Natale. Ogni
tanto
mi vengono a trovare dei
ragazzi
innamorati: seduti sul
pattino,
allungano lo sguardo,
incatenati,
tra un bacio e l’altro, fino
all’orizzonte.
Mi fanno compagnia. La
solitudine
mi fa pensare al mondo, al mio
vagare,
mi fa pensare ai giorni
dell’estate,
ai tanti corpi immersi dentro
me,
alle grazie di giovani
fanciulle
che mi lisciavano il corpo.
Ora ricordo;
vivo nel rievocare quei
momenti,
mi sento triste se mi torna in
mente
il pianto di una madre e il
suo inveire
contro la risacca, e la
corrente,
che portarono via un figlio in
fiore,
sperso nei miei fondali. Ma a
pensarci
sono tanti i mortali
sprofondati
nelle mie cavità. Ora son
solo;
alzo le braccia al cielo e mi
imburrasco
per la forza di un vento che
d’inverno
mi assale con frustate. Se
m’incontri
di questi tempi ombrosi e nuvolosi,
quando il respiro mio si fa
più denso,
mi vedi in piena angoscia.
Tiro fuori
tronchi, detriti, ciocchi e
tavoloni,
spurgo ogni cosa che mi porta
il fiume,
e riempio la spiaggia di
vestigia;
si fanno le mie acque
intorbidite;
trovo la pace solo se la luna
frantuma le sue chiome in
tante scaglie.
Allora mi riposo. Puoi vedermi
quando arancio le guance e
tingo il cielo
degli amplessi fecondi che dal
dentro
fuoriescono per visualizzare
l’inquieto stare chiuso dagli
scogli
senza poter sfuggire oltre le
sponde.
Senza poter capire, e mi
tormento,
quello che fuori esiste; e che
mi è ignoto.
23/12/2017
L'amatissimo mare si fa corpo del Nostro autore. Tutt'uno con la natura, tutt'uno con le cose e le persone che l'hanno abitato, vissuto, amato, odiato. Mindfulness è il termine inglese che sintetizza questo stato dell'essere che, con intenzione, si rapporta al momento presente, senza giudizio, accogliendo tutto quel che viene. E questa è la poesia, una ferita che viene da dentro (La solitudine
RispondiEliminami fa pensare al mondo, al mio vagare,
mi fa pensare ai giorni dell’estate,
ai tanti corpi immersi dentro me), che viene da fuori (Ora son solo;
alzo le braccia al cielo e mi imburrasco
per la forza di un vento che d’inverno
mi assale con frustate) e senti sulla pelle. Endecasillabi che ben si prestano al verso che vuol raccontare, sobriamente, la meditazione davanti al mare, del mare che medita noi, in un frangersi d'acqua e di storie, fino al connubio arancio delle guance nell'attimo dell'amplesso. In quel momento in cui ci sembra di sfiorare verità pur comprendendone il limite, la siepe fatta di scogli che chiude lo sguardo dell'uomo verso l'Oltre. Complimenti, Maestro.
Una lirica bellissima, ricca di immagini e meditazioni che mettono in risalto la nostra impotenza di fronte allo scorrere imperturbabile del tempo; alla persistenza nei millenni della Natura che giorno dopo giorno si perpetua mentre l’uomo è solo un passeggero di questo mondo. Resta la solitudine dell’assenza, infinita come il mare, di tutto quella vita che abbiamo vissuto dove – oggetti trovati, immagini – (che sono poi oggetti poetici della memoria), fanno da tramite alla metafora dell’esistere con tutti i suoi turbamenti, i suoi dubbi e a quella spasmodica ricerca di verità che sfocia in sapienti interrogativi di ordine filosofico e religioso.
RispondiEliminaSenza poter capire, e mi tormento,
quello che fuori esiste; e che mi è ignoto.
Grazie Nazario per questa stupendo componimento, come sempre ci induci a riflettere e a scandagliare il nostro profondo.
Un caro abbraccio.
Emma
Sferzato da impetuosi venti invernali, il mare si agita, si anima, si umanizza. Va a curiosare sulla strada, tra gli addobbi natalizi e gioisce alla vista di ragazzi innamorati sulla battigia o sul pattino. Ricorda l'estate coi bagnanti festosi, ma anche con la tragedia delle vite disperse nei fondali. Poi racconta della sua angoscia per i rifiuti ricevuti dal fiume e che suo malgrado deve restituire alla riva. Ma si distende nella pace del plenilunio, con quelle schegge d'argento che si dipingono sulla sua superficie rugosa. Il mare è tutto: vita e morte, culla e tomba, moto e quiete, luogo di eventi luttuosi, ma anche di maestose armonie. Sempre in bonaccia e sempre tempestoso, il mare. Ed eccolo chiuso tra gli scogli, nel dolce sciabordio della risacca, mentre s'interroga inquieto sul mistero degli orizzonti, al di là dei confini. Grande poesia.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Giunti nei pressi del "varco del Mistero" interrogarci, cercare il nostro io più vero, il conosci te stesso comincia a sbiadire nel suo significato. Dopo esserci guardati nel profondo, avere scandagliato ben bene il fiume che continua a trasportarci nel suo lento fluire, rivolgiamo attenzione alle cose, all'ambiente che ci vede a sua volta in un nostro fieri , che forse a noi stessi sfugge. A quelle cose, a quell'ambiente prestiamo non solo un'attenzione nuova, ma addirittura il nostro stesso sentire. Siamo noi che ci facciamo cose che diventiamo ambiente, natura e tempo. Così iniziamo un racconto nuovo, una nuova ricerca. Ci trasumaniamo.
RispondiEliminaE' l'uomo che vive una nuova vita, forse più serena, forse meno coinvolgente, certamente più innocente. E' l'uomo che si fa poesia.
Nazario nella sua "Solitudine del mare" ha visto forse inconsciamente un suo mare della solitudine. E ha cantato questa solitudine, però arricchita di vita, quella della Natura, del mare in questo caso, che nei propri ricordi non avrà mai tristezze, perché non ha né limiti né fine.
Nella solitudine del mare il Poeta nasconde la sua stessa solitudine, anzi ne vede il magnifico senso dell'Infinito.
Questa traslazione del pensiero permette al Poeta di dare alla Poesia l'idea di Eternità.
Chiedo perdono a Nazario per questa mia intrusione, del resto una interpretazione tutta e solo personale e soggettiva.
La mia ammirazione , sempre, per i suoi versi.
Edda Conte.
Parla il mare,d’inverno, meditando tra sé e sé con sforzo di oggettività e nella dimensione della distanza solitaria che si colora di ironia: vuol vedere lui pure lanciando in alto le sue onde, gli addobbi di natale, che piacciono agli uomini, vuol ricordare l’estate, la vita giovanile impetuosa ed immemore, di cui ha pur goduto, ricordare con tristezza, ma senza coinvolta partecipazione , la disgrazia che colpisce coloro che restano ad aspettare chi non riesce più ad emergere dalle sue acque… e sono pur tanti….Il respiro denso, aggressivo, forte fa scudo alla burrasca che frusta violenta le onde. Bisogna inventarsi un lavoro per trovar pace: ripulire le acque da detriti, tronchi abbandonati, oggetti inutili, ciocchi vari che uomini e fiume hanno portato in modo distratto e irriverente, riportandoli , irriconoscibili, svuotati, con nuova vita da inventare, alla spiaggia deserta.Ha conservato gli oggetti nudi – cose- che i visitatori distratti hanno lasciato e li deve restituire nel tempo lento eppur velocissimo ventoso della solitudine invernale, ripiegato in se stesso, vita che si assopisce nel silenzio o si spegne nel propagarsi dei suoni… senza musica o melodia di accompagnamento: solo la mobile angosciante risacca.Le cose si disfano, si sfanno, ma fino a un certo punto….Anche dei reperti non si può fare a meno di intuire il silenzio raccolto e l’esposta nuova solitudine che proprio lui ha saputo regalare loro.Nel paesaggio solitario e desolato la luna dà conforto, riposo, gioca fingendo amori colorati benché scagliosi e non invitanti nel freddo e nella solitudine. Profila il mare d’arancio e la spiaggia, a sera. In questo sonno calmo apparente, colorato algidamente, in questo tramonto di un’estate, il gioco si confonde, risponde, si raddoppia e le cose guardano, forse si chiedono…: chissà se giochi, fatiche, ire pensieri hanno un senso. La solitudine non dà risposte.
RispondiEliminaTra le tante lette, questa, credo, sia la più carica ad esprimere lo stato d'animo non certo consono al nostro Maestro, dettato certamente dal periodo stagionale del mare con le onde fino al "sommo cielo" ,del fiume coi suoi "detriti" alla battigia. L'alta sensibilità del vate non può che sincretizzarsi con lo stato della natura. In questi versi uomo e natura sono in una simbiosi temporale inscindibile anche se l'animo umano tenta lo -strappo- nella ricerca di tirarsi fuori da ogni intralcio: "trochi, detriti,ciocchi e tavoloni"; nell'andare col pensiero al tempo degli amori giovanili nello scrutare gli "innamorati incatenati tra un bacio e l'altro" e ancora nel riverbero della luna sull'acqua pur torbida, scura. Ammirabile tanta esposività del proprio intimo sentire con madre natura. Pasqualino Cinnirella
RispondiEliminaCaro Nazario questa tua si chiama concorrenza sleale per la povera Sibilla Aleramo che hai pubblicato prima di te e che tratta anche lei il tema della solitudine.
RispondiEliminaComunque CANAPA non può esimersi dall'inserirsi tra i commenti alla “Solitudine del Mare” con la solita poesiola in cui cerca di imitarti, ossimori compresi.
Mare, mare selvaggio, mare mio
che ti imburraschi al soffio d'ogni vento
forse tu non ricordi i tuoi albori.
Noi dentro te nascemmo, fummo l'alga
che infin si abbarbicò alla scogliera
e diventò la ginkgo alta, flessuosa
a contrastare i refoli maligni.
E poi, poi… Tu sai e ti innamori
della luna che intorbida di luce
come lamelle l'acqua tua salmastra.
E vorresti più in là scorgere il dopo
scorgere il vergine pianto che al singhiozzo
abbandona stremato l'ultima ora.
Fresco ancor sei d'immagini, sirene
culli nel tuo profondo degli abissi
e in perle opalescenti cambi il grano
della sabbia che tieni nei fondali
e che sabbia non è. Da noi proviene
che ritorniamo a te. Il lungo viaggio
a volte ci spaventa, a volte è inconscio
rifluire ad un'acqua che fu madre
e padre insieme. L'albatros leggero
sorvola questa vastità marina
senza sapere che anche la sua penna
che dentro di te gli cade sarà gemma
in uno scrigno antico conservata.
Caro Nazario, non ti tormentare
da te traiamo sempre ispirazione,
mare fecondo che non resta solo
con le ritmate onde ad indagare
il battito nascosto dell'altrove.
Carla Baroni
https://www.youtube.com/watch?v=C5IvArz1f4o&feature=youtu.be
RispondiEliminaLa pittura trasmette mediante immagini, la poesia mediante la parola, e lei con le sue parole mi ha dato nel modo più semplice possibile tutto quello che voleva trasmettere. La sua semplicità è la sua più grande arte.
RispondiElimina"La sua semplicità è la sua più grande arte". Mi piacerebbe conoscere il nome di chi ha postato l'ultimo succoso e azzeccatissimo commento.
RispondiEliminanazario
Scusa, ho visto solo ora la sua risposta... non mi sono firmato perché... non lo so
EliminaComunque sono io, Riccardo Andrea Ghidetti
Ringrazio tutti gli amici di Lèucade che mi accompagnano coi loro stupendi commenti in questo meraviglioso viaggio poetico.
RispondiEliminaNazario
L'impatto espressivo immediato e il rito incantato del mare in bonaccia e del 'mare che brucia', come amo dire, rendono la lirica del nostro Nazario l'ennesima gemma. Si esprime in endecasillabi, suggellando la forza dei versi. I ricordi sembrano emergere dai flutti, divenire tutt'uno con la potenza del mare. Ho pensato a Naruda, alla sua Isla Negra sbattuta dai cavalloni dell'Oceano. In fondo anche il nostro condottiero insegna ad amare gli elementi della natura. E' Vate e Cantore. E leggerlo equivale a proiettarsi in dimensioni che, i profani come la sottoscritta, sfiorano solo nei sogni. Così riduttivo ringraziarlo.... Con umiltà e senza scivolare nell'ermetismo, concede di divenire parte del suo universo. Rende ricchi e liberi. Un fortissimo grato abbraccio.
RispondiEliminaMaria Rizzi
Carissima Maria,
RispondiEliminacon la tua sensibilità raggiungi sempre vette ineguagliabili: "E' Vate e Cantore. E leggerlo equivale a proiettarsi in dimensioni che... si sfiorano solo nei sogni". Sei unica; i tuoi commenti emozionano e frastornano...
Nazario