Angela Caccia. Accecate i cantori.
Fara Editore. Rimini. 2017. Pgg.78. € 10,00
Come nave al largo ti guarderò sparire…
Ho già avuto occasione di scrivere
sulla poesia di Angela Caccia; di apprezzarne la voce genuina, ardita,
generosa, fuori da schemi, da smarrimenti di sfogo intimistico; ella si
riaffaccia alla scena letteraria con una plaquette editata per i caratteri di
Fara Editore nell’ottobre del 2017, dove il gioco della parola si fa
interessante con le sue sinestetiche intrusioni
di pura intuizione creativa. Mi piace riportare una tranche del mio
scritto sul suo Piccoli forse. Lieto Colle Editore. 2017: “… Una
parola sempre accanto, vicina, disponibile ma ardita, intrepida, svincolata, di
fattura umana e oltre, della cui compagnia la Caccia non può fare assolutamente
a meno, dacché di essa si ciba; è essa che la conduce sulla strada della
possibilità, verso un difficile approdo per una navigazione in mari folti di
tenebra e di mistero…”
Accecate
i cantori, il titolo di questa plaquette, in cui la Caccia, con un
linguismo nuovo, generoso, assemblante,
sviscera tutto il suo magma interiore; e lo fa partendo dalla realtà, quella di
ogni giorno, quella della pioggia, del temporale, della primavera, della notte,
della sera, della rosa…, per farne corpi della sua frammentazione
epigrammatica; forse accecare i cantori significa indirizzarli più verso il
loro esistere, verso la coscienza della loro precarietà; per misurare meglio lo
stato della loro vicenda esistenziale. L’esterno ci può distrarre, ci può
depistare dalla visione del nostro ristretto soggiorno, dal fatto che ogni
minuto che viviamo non è altro che tempo sottratto alla vita. E tanti sono i
motivi ispiratori: la poesia, il poeta, l’amore, quello totale, per i figli,
per il compagno (se c’è una madre c’è un
figlio/ e il respiro resta circolare), le parole, il male, (Ci vuole una
minuziosa/ e paziente/ esperienza al male…), malinconie, saudade, fughe e
rinascite. Una poesia polivalente che scava nei meandri di un animo tutto vòlto
a scoprire il perché di una storia; il
perché di un mondo entro cui ci stiamo e non ci stiamo (non ho nome/ non rubo
ossigeno/ non occupo spazio). Il fatto sta che i poeti (e Angela Caccia lo è
sia a livello formale che intrinseco) cantano sempre in ogni tempo e in ogni
dove le loro vicissitudini; la loro visione del mondo e delle cose, lo fanno
perché nati per cantare, perché è l’unica maniera di sentirsi vivi. Accecateli
pure ‘sti poeti ma non otterrete mai il loro silenzio. La plaquette si conclude
con la collaborazione di due autori: Lucianna Argentino e Francesco Filia.
Il primo con poesie tratte da Gli argini del tempo, Edizioni Totem
1995; da Biografia a margine,
Fermenti Editore 1999; da Mutamento,
Fermenti 1999; da Verso Panuel,
Edizioni dell’Oleandro 2003; e da Diario
inverso, Manni 2006.
E vedo, sinceramente, una certa connessione fra la poesia della Caccia, e
quella di una Argentino, spersa, spesso, in rocamboleschi giochi mentali dove
la ragione sembra prendere il sopravvento su un sentimento che alla fin fine
tira le fila e riesce a dare concretezza alla sua esperita connotazione lirica;
tanti giochi che non poco hanno a che
vedere con la parola partorita da un animo cotto a puntino per il poièin; con
un dire che scaturisce da un sentire fresco e genuino. La limpidezza formale e la disciplina
versificatoria vivono di un attuale e fecondo realismo lirico lontano dalla riforma prosastica del verso
che ha egemonizzato gran parte del tardo 900: sperimentalismi destinati a
sbattere la testa contro la Storia, come la stessa Storia ci insegna (gruppo
63, Neo Avanguardia o correlativi oggettivi di stampo eliotiano…). La poesia è
poesia e chiede con forza di essere nutrita da sentimento, memoriale, immagine
come rielaborazione della realtà, panismo esistenziale, disciplina della
versificazione in funzione della musicalità…
Interessante ci sembra il mondo poetico di
Filia con i suoi inediti da L’ora
stabilita in cui fa di una quotidianità spesso oppressiva un trampolino di
lancio verso la liberazione con versi affabili e sincronici; con una ricerca
verbale attenta e ispirata che non disdegna la musicalità del canto; la
eufonicità del poema; la scansione giusta della
sonorità; il rispetto, insomma, di tutti quei principi sopra elencati:
ritorna
il sogno di notti e sobborghi
con un finale rimosso
nel soprassalto
di sudore. Il denso
silenzio
dell’aria, degli urli
di uccelli tra i palazzi.
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