Rossella Cerniglia. La nascita di un'idea. di Giovanni Dino. 2016 |
Nel
saggio di Rossella Cerniglia si mette in evidenza la brillantezza creativa di
Giovanni Dino nell’opera La nascita di
un’idea. Il critico non si limita ad un lavoro di stretta natura filologica
ma fa a fondo dell’analisi toccando l’aspetto umano, quello della fatica di un
essere votato al “raggiungimento di una meta alta”… E si impiegano parallelismi
di alta levatura culturale per rafforzare l’aspetto etico-letterario di
Giovanni Dino:
“anche
Herman Hesse… attinse al mondo dell’arte attraverso una autonoma, ma anche
faticosa, e per molti versi dolorosa, formazione di se stesso. Lo stesso dicasi
per Jack London, ma anche per il nostro Eugenio Montale…, o per Moravia i cui
studi si fermarono alla licenza ginnasiale,e ancora per Italo Svevo la cui formazione
e i cui studi non furono letterari, ma
commerciali e professionali…” Così si esprime il critico per reificare
l’identità di un uomo fattosi da sé, come si dice, in ambito artistico, pur
ricorrendo a contaminazioni di
sinergetica e personale ispirazione.
Nazario Pardini
Giovanni Dino. Nessuno va via. Pagine lepine. Ferrara. 2017 |
“Questa
silloge di poesie doveva essere pubblicata tanto tempo fa, ma ogni volta che mi
accingevo a completarla una forte malinconia mi impediva di continuare…”, così
Giovanni Dino inizia la sua nota introduttiva; ed è proprio collegandoci a
questa affermazione che riusciamo ad andare a fondo dell’animo del poeta, che
confessa la sua inquietudine esistenziale con onestà senza cadere nella palude
dello sfogo intimistico. Si sa che l’uomo vive soggetto a sottrazioni di forte
sconquasso umano, da cui l’idea di precarietà della vita, di un breve tempo
prestato dalla morte. Ma si sa anche che tali turbamenti possono essere
alleviati sia dal patrimonio dei ricordi come se tutto fosse attuale (mi diceva
il mio vecchio professore che la memoria è l’unico mezzo tramite cui l’uomo
può contrastare la morte); sia dall’acquisizione
di un altro tesoro che Giovanni Dino fa suo: la fede; la piena immersione nel Creato e nella grandezza di Dio, per cui
ogni avvenimento, triste o gioioso che sia, porta il segno di una
imperscrutabile azione divina tesa reificare
i momenti più sacri del nostro esistere. L’inquietudine di Giovanni è
tutta lì, fra le branche di un destino
che lo vorrebbe solo, sofferente, vinto ma che lui riesce a controllare traslando la visione dell’amata
nei cieli puri dell’eternità. Il dolore terreno rimane, si alimenta, gonfia a
mano a mano che lottiamo con la nostra solitudine; non riusciamo a districarci
da situazioni di reale quotidianità fatta di piccole cose che ci parlano di una
fine; di un redde rationem implacabile e ultimativo; la terrenità ha le sue
leggi che l’uomo cerca di ovviare col ricorso a strategie di effetto emotivo:
e se tu potessi portare con te
con le altre ancora da
scrivere
potresti tracciarmi la strada
che a te mi farà arrivare (nel
giorno della perdita della moglie)
a
dolori che diventano preghiera
(…)
Fin dal primo giorno della
tua malattia
ci hai insegnato che il dolore
non serve a nulla
se è solo cenere di sofferenza
ma se diventa preghiera
scava
acqua che lava.
Una vera ascensione verso l’azzurrità dei cieli, verso altezze che vanno a sfiorare il profumo
dell’eternità in alcove rigeneranti di luce; un azzardo a superare “muri
d’ombra”:
(…)
Eppure da qui
da questo sole che fa ombre fino a sera
e dove i nostri cari dormono
ci separano recinti d’aria
e “muri d’ombra”.
Ed è
facile perdersi per il poeta nella casa senza Anna, e anche se dalle pareti
avverte la sua voce la notte è un giaciglio di dolore:
(…)
La notte è un giaciglio di dolore
culla di tormento
un susseguirsi di onde
flash
back con ricordi
che s’infrangono sulla battigia della
nostalgia.
Un ossimorico
gioco fra la grandezza di Dio e l’amore
per la donna della vita; un antitetico contrasto fra le galattiche
braccia dei mondi invisibili e l’arido vuoto dei giorni.
Il
poeta traduce la sua fede in
disperazione per il distacco: prova paura per la nostalgia:
(…)
Ho paura della nostalgia
della tua assenza
che di te
Anna
Mi fa il cuore pieno di rabbia…
Tutto
si fa terreno, umanamente disumano in questo assolo di dolore e saudade. Tutto
scorre su un tessuto verbale di grande potenza visiva fino ad una supplica
finale in cui si raggiungono punte di alta liricità epica, di forte intensità
emotiva, di toccante colorito serale:
(…)
Se ti va scrivimi una lettera
con l’inchiostro del silenzio
o sussurrami una canzone nel sonno
o mandami un sorriso
con le nuvole disegnate dal vento
sai che li acciufferò
come gli odori
delle
tue improvvise visite.
Poesia
snella, densa, di armonica euritmia, dove il poeta, per la limpidezza formale,
per l’impiego saggio e spontaneo di metafore e accorgimenti sinestetici, si
colloca sicuramente in un quadro di classica positura piuttosto che in quello
di una avventurosa quanto mai opinabile riforma prosastica fine 900.
Nazario Pardini
Nella poesia di Giovanni Dino spicca la figura, forte e sensibile ad un tempo, di una donna, sua moglie Anna. Ogni suo gesto, ricordo ed espressione acquisisce un significato emblematico di una condizione dello spirito impegnato nel difficile cammino della vita. L'idea che nasce e la dipartita solo apparente, rappresentata dalla morte, sono dunque l'alfa e l'omega di un percorso in salita verso l'Altissimo che nel suo mistero chiama, esige la completa dedizione fino al dono più inquietante, quello della sofferenza. Il poeta intraprende una lotta interiore, non si adagia sui luoghi comuni di una fede poco sentita,né persegue un fine teologico, dottrinario e didascalico. Maestra, émula di Cristo, è la donna amata e perduta in questa vita peritura, ma ostinatamente presente con il suo equilibrio e la luce spirituale che la circonda.L'idea che sorge, come un'alba potente di grazia, è ben compresa nell'intervento critico di Pardini e nel lavoro ermeneutico proposto da Rossella Cerniglia. La finitudine vi appare come una provocazione dell'Assoluto rivolta all'uomo che lo destabilizza affinché ritrovi l'avventura di credere e la sua strada celeste.
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