giovedì 1 febbraio 2018

ANNALISA RODEGHIERO LEGGE: "COME VOCE ERRANTE" DI CLARA NISTRI

UN POSTO NELLA LUCE


Annalisa Rodeghiero,
collaboratrice di Lèucade

Cammina senza posa, instancabilmente vaga qua e là senza apparente dimora Clara Nistri in Come voce errante. S’immerge nella magnificenza della natura attraversandone stagioni e cieli, riversando in essa la sua anima e lasciandosi avvolgere dai suoi cromatismi e dalle sue voci.
Dentro silenzi che pesa(no) sul cuore dentro lunghe notti di solitudine e pensieri, cammina dentro se stessa con la speranza di ritrovare ciò che lei era o almeno la sua ombra: mi cerco nei tanti volti/ di colei che fui […] per divenire me. È un esilio, il suo, che nasce dal bisogno costante di interrogarsi per ritrovare la sua identità, per sentirsi ancora l’anima, la luce e tornare a imparare ad amarsi. Sembra quasi che la sua voce si faccia errante nella speranza di trovare un luogo inconoscibile d’anima cui approdare nel suo tormentato peregrinare.
Un percorso che ci porta a scoprire l’essenza dell’universalità racchiusa nella sua interiorità profonda.
Si dirà che è dei poeti il vagabondare alla scoperta dei tanti perché della vita ma -nello specifico- la ricerca non è tanto finalizzata alla risposta né alla scrittura ma ha radici vive nel dolore profondo che la poetessa ha toccato con mano:
In cieli spezzati/ è volata/ la rondine/ del mio battesimo […] Ho conosciuto la notte/ e la sete/ che cala dalla luna/ lungo crinali d’ombre
e ancora: Non c’è niente/ che vorrei ricordare, /niente da poter raccontare, / ma un unico grande vuoto, /una voragine cosmica, / un buco nero/ che cattura ogni frammento di luce.
Non sempre il tempo è solidale con le nostre aspettative e a volte, intralcia il fiume dell’esistenza come un tronco di traverso all’acqua. E allora, a tratti, sembra dilatarsi il tempo nel dolore e la vita che comunque fugge, sembra fatta di ore e secoli. In realtà sono ore non consumate/ divenute grigie/ per l’invecchiare/ tra sonno e sogno.
A tratti invece, sembra restringersi il tempo imprigionato/ dal colore ferrigno del cielo entro confini misurabili solo dal divino, sembra comprimersi il tempo, fino a chiudersi.
Ma è al di là delle barriere/ di un tempo chiuso che la Nistri getta lo sguardo, con la consapevolezza che per tornare è necessario perdersi.
È l’armonia imperante degli opposti a rendere possibile l’equilibrio tra il non essere e l’imparare a rispettare la vita. Leggiamo infatti, in una delle ultime liriche della prima sezione LUOGHI DELL’ANIMA:
Non essere pietra/ né vento/ né acqua/ piange la terra  
e di contro, subito dopo, in apertura della seconda sezione STORIE E VITA, troviamo questi quattro versi emblematici:
Santa è la sofferenza/ nel dolore/ per cui si impara/ a rispettare la vita
Non esiste, Clara, nelle lunghe notti di solitudine quando pesa sul cuore il silenzio, quando si rende conto di avere perduto la speranza e i sogni. Morire/ è indossare l’ombra della vita.
Ma lo spiraglio di rinascita, un presagio di luce le viene offerto proprio dall’angelo nel sogno:
Ogni pensiero, / ogni mia lacrima, / perfino la mia assenza/ avevano un posto in quella luce.
Ed è proprio nell’anelito a rapportarsi a Dio che si snodano le liriche delle ultime due sezioni, IL SILENZIO E L’ATTESA e L’INCONTRO. Dice bene nella prefazione Carmelo Mezzasalma: “Ci sono due modi fra loro inseparabili per incontrare Dio: “con gli occhi chiusi”, immergendosi nella preghiera, anche sofferta, in Lui; e “con gli occhi aperti”, riconoscendolo nella realtà in cui ci troviamo. Clara Nistri, nella sua poesia, vive l’uno e l’altro modo di incontrare Dio”.
Affermazione che non può che trovarci d’accordo se nei versi notiamo sia l’invocazione al Padre percepito sempre silenzioso, Padre assente/ e presente sempre e a cui chiede incessantemente soltanto di essere ascoltata e ripresa tra le sue braccia, sia il desiderio di trovarlo nelle situazioni concrete dell’esistenza, nella fatica del quotidiano esistere intriso di ricordi, dolci seppur dolenti, primo fra tutti e sempre presente quello che incisivamente definisce “dono tremendo”. Dolorosissimo e profondissimo ossimoro, cuore che irrora e nutre ogni verso della silloge. Com’è difficile lasciare chi si ama/ -mai senza pena, / mai senza dolore.
D’altro canto chi prega ha un proprio modo di farlo e Clara dichiara esplicitamente che la preghiera è parlare con Dio e non con noi stessi ma non può essere ripetizione di parole già scritte dato che non ha parole la preghiera, / ma gesti colmi di spazi. Non ripetitivo mantra bensì confidenza di assenze, silenzi, lotte e paure soprattutto forse anche il dubbio. Un dubbio funzionale ad incrementare la sua fede mai cieca.
Così come la sua anima, come la sua voce anche la fede è quindi errante nel rapporto conflittuale con Dio, rapporto comprensivo di un doversene andare da Lui per poi tornare e di un sapersi commuovere al mistero quando si spalan(ca) la porta/ del tuo universo/ a me/ che in forse sono/ tra entrare/ o andarmene nella mia notte.
Se decide di ascoltare chiede ascolto: Tu che chiami/ all’amore/ dal silenzio concavo/ dei pianeti/ ascolta la mia pena, e supplica che l’umana intimità venga ascoltata. Chiede amore Clara, con tenacia perché tutto è possibile/ in nome dell’amore anche quando il silenzio/ si oppone nel silenzio e lo chiede rivolgendosi all’umano che c’è nel divino: e allora dicci, /dicci che speri anche tu, /che vuoi credere in noi/ qualunque sia la ruota/ della vita.
Ed è proprio quando sente la presenza di Dio come Padre che si rende conto di non poter più camminare da sola e la sua voce errante con estrema dolcezza chiede: Portami tu/ amore che sostieni/ fuoco eterno dell’anima, / sostanza e vita. / Portami verso il “dove”
L’apostolo Paolo scrive ai Galati: “Cristo ci ha liberati per la libertà!” (Gal 5,1). Libertà come dono prima che come conquista “Dono che ha origine divina” ricorda Beatrice a Dante nel Paradiso. L’uomo deve essere guarito dalle sue ferite per poter compiere, in libertà, il viaggio verso la pienezza della sua umanità.
Errare per tornare, allora, in quella dimora tanto cercata in ogni sogno- sonno, in quella dimora che -finalmente sicura- appare, dove ogni verità trova il posto giusto come leggiamo nella splendida poesia che chiude la raccolta:
Nel vuoto
gremito di attese
una sicura mano
annoda la mia
alla tua Verità.

              Trasparente foglia
              Voce errante
              Nutrimento,
              origine.
              Luce feconda.
Esco da quel bagliore
opalescente perla…

D’improvviso ogni parola
detta,
taciuta.
Persa.
Forma un solo canto.
S’innalza il coro
della mia lode.

L’acqua ritorna all’acqua
il suono torna al suono,
luce alla luce,

l’anima torna a Dio
e si fa eternità.

                                                                                         Annalisa Rodeghiero
Clara Nistri. Come voce errante. Blu di Prussia Ed. 2017. Monte Castello di Vibio. Pp.88. € 12,00











4 commenti:

  1. David Maria Turoldo: il poeta-frate friulano, a lui ho pensato dopo aver letto il testo recensivo di Annalisa Rodeghiero su "Come voce errante" di Clara Nistri.
    Conosco la poetessa per essermene occupato criticamente in altra circostanza e posso confermare che il suo è un canto che nasce dal dolore e dalla solitudine ma sempre confortato dalla fede; una fede autentica proprio perché lacerante e costretta (anche, e soprattutto, nel senso etimologico della parola) a fare i conti con Dio, senza eludere la fatica quotidiana del vivere.
    "Così come la sua anima, come la sua voce anche la fede è quindi errante nel rapporto conflittuale con Dio, rapporto comprensivo di un doversene andare da Lui per poi tornare e di un sapersi commuovere al mistero...": in tal modo si esprime la sua Esegeta, ed ha ragione, acutamente cogliendo il bisogno d'amore che spinge e sospinge il versificare della Nistri. Ha ragione, quando - citandola - parla di "dono tremendo":"dolorosissimo e profondissimo ossimoro", aggiunge.
    "Santa è la sofferenza/ nel dolore/ per cui si impara/ a rispettare la vita" - scrive la Nistri -: versi qui riportati a sostegno della tesi che non può esserci fede se non tribolata e conquistata, altro che manna che piove dal cielo.
    E' evidente, a questo punto, perché mi è immediatamente balzato in mente padre David: uomo di altissima fede; provato (non poco) dalla vita e dalla cattiveria umana. Sembrerà paradossale ma è da lì, dal rapporto conflittuale con il divino che si apre lo spiraglio della speranza; è da lì che santo diviene il patimento, santo "il vuoto del nulla", parafrasando Turoldo.
    Ringrazio Annalisa per avermi dato occasione di riflettere ancora su questi temi e Clara per averli ribaditi attraverso la sua poesia.

    Sandro Angelucci

    RispondiElimina
  2. Mi complimento vivamente con Annalisa per questa ulteriore prova delle sue qualità critiche. Da ottima poetessa qual'è, non potrebbe essere altrimenti. Almeno per me, che reputo poesia la stessa riflessione sulla poesia, come possibilità della poesia di rinascere attraverso le parole della critica. Per quanto riguarda Clara Nistri, devo onestamente ammettere di essermi ricreduto sulla qualità della sua poesia, in quanto, leggendo bene la recensione, nonché i versi citati dal critico, non trovo traccia di quel misticismo che a me sinceramente non piace, essendo improntato sulla querula invocazione del divino. Qui, al contrario, "non ha parole la preghiera, / ma gesti colmi di spazi". E a convincermi maggiormente è la seguente annotazione di Annalisa: "E' un esilio, il suo, che nasce dal bisogno costante di interrogarsi per ritrovare la sua identità". Non dunque per smarrirsi o annullarsi in Dio, ma per ritrovare il proprio allineamento con la divinità. Un Dio interiore e non esteriore, pertanto. Un Dio con cui si può dialogare e che ammette finanche la contraddizione, essendo vicino all'uomo, partecipe dei destini dell'umanità.
    Franco Campegiani

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Caro Franco, credo che poesia e critica poetica abbiano una scintilla ispiratrice comune senza la quale, né l’una, né l’altra, prenderebbero una loro “vera” forma e non quella di contenitori preconfezionati a cui doversi adattare. Ti ringrazio pertanto, di cuore, per le parole generose che hai riservato al mio percorso in questi due mondi ormai irrinunciabili.
      Per quanto riguarda la poesia di Clara Nistri, a conferma di quanto hai saputo cogliere dalla nota di lettura, in riferimento all’assenza di misticismo, vorrei aggiungere due versi tra i tanti che non ho citato:
      “Ti basti, Padre/ la fedeltà alla vita”. Ecco che Clara, lontana dall’intenzione di annullarsi in Dio, riesce a chiudere il cerchio sull’essenza della sua fede, ritrovando come hai giustamente sottolineato, “l’allineamento con la divinità”.

      Con grande stima.
      Annalisa Rodeghiero

      Elimina
  3. Sono io a ringraziare te, Sandro, per aver letto con attenzione e partecipazione la mia recensione al libro di Clara Nistri. Attraverso la sua poesia ho provato ad entrare nei luoghi segreti della sua anima anche nel suo rapportarsi a Dio. Clara mi ha ringraziato per aver colto (ciò che anche tu hai sottolineato nel commento) il significato pregnante del libro che sta nell’essenza della sua fede: errante, come la voce. Errante nel dubbio che non toglie ma incrementa la fede, la speranza di un suo supporto. Sono d’accordo quando affermi che
    “è da lì che santo diviene il patimento, santo IL VUOTO DEL NULLA” di Turoldo.
    Credo che Clara sarà felice quando leggerà che la sua poesia ti ha riportato a quella del grande poeta.
    Dio lo si pensa e lo si cerca solo se si pensa e si cerca la vita nella sua interezza, in quell’impasto di dolore e felicità, di male e di bene che è in noi.
    Grazie di cuore, Sandro.

    Annalisa Rodeghiero

    RispondiElimina