Nazario Pardini
DAGLI SCAFFALI DELLA BIBLIOTECA
Recensione di Enzo Concardi
Stando
ai titoli delle tre parti che compongono quest’ultima fatica letteraria di Nazario Pardini,
prefazione di Marco
Zelioli, cioè: Ricordi che pungono, Dagli scaffali
della biblioteca, Dieci poesie d’amore, tale opera
parrebbe viaggiare sui binari di tre dimensioni: memoria, cultura, sentimento.
Invece, dopo la sua lettura integrale, risulta essere molto di più: è tutto un
libro d’amore appassionato, scritto con tanta passione d’amore. Amore per i
cari, i familiari, gli amici, l’umanità; amore per la cultura, la letteratura,
la storia, la filosofia e non solo perché il poeta è stato per anni docente
universitario; amore per l’amore e la sua realizzazione con una compagna nella
vita di coppia. Tuttavia, anche la parola amore – oggi così abusata,
fraintesa, strumentalizzata – non deve trarre in inganno: qui si parla di stile
di vita, stile di rapporti, attenzione del cuore e della mente per gli altri.
Inoltre tale capacità della personalità – che purtroppo nella nostra epoca
appartiene a pochi - affonda le radici nell’impianto strutturale della
pubblicazione di Pardini, non solo nell’autobiografismo esistenziale, ma si
allarga alla visione del mondo, essendo il poeta inserito profondamente nel
tessuto culturale della nostra storia letteraria, della quale cerca di essere
uno degli interpreti e uno degli eredi.
E vorrei liberare subito il campo dalla
questione dell’estetica, non perché non sia importante, anzi, ma perché nessun
autore è mai riuscito a mantenere un alto livello lirico per tutta un’opera e
tanto meno per tutta la sua produzione. L’esempio più vistoso è quello di
Dante: non ha forse scritto lo stesso Benedetto Croce che nella Divina Commedia “solo il
trenta per cento è vera poesia”, mentre il resto è costituito da parti
narrative che fanno da collegamento tra i canti, i dialoghi, le visioni, i
personaggi? Dico ciò poiché anche nelle composizioni di questa raccolta l’autore
passa spesso da brani tecnicamente e strettamente poetici, ad altri che s’avvicinano
allo stile narrativo della poesia-prosa, mantenendo comunque sempre un afflato
lirico, come nella cosiddetta “prosa aulica” del Manzoni, che molti considerano
alla stregua di ‘poesia’. Alla fine, dunque, conta soprattutto l’uomo, quello
che è, quello che ha dentro, quello che comunica e, nella fattispecie delle
tematiche di Pardini, come hanno lavorato nella sua interiorità tutti i suoi
ricordi, con quali sentimenti si è avvicinato ai grandi del passato custoditi
nella sua biblioteca, con quale visuale ha rievocato le sue vicende d’amore. La
conclusione – e non me ne abbiano i filologi puristi formalisti – è che l’uomo
viene prima del poeta poiché sono il suo temperamento e la sua cultura che
forgiano lo stile personale.
In tutta tale analisi manca ancora un altro
elemento importante che contraddistingue la ricapitolazione delle passioni del
poeta: il senso del dolore, le ferite che la vita ha inferto al cuore dell’uomo.
La figura del padre è centrale: “Le pene si consolidano negli anni” è un verso evocativo
di Ungaretti (“La morte si sconta vivendo”, epilogo di Sono una creatura appartenente
alla raccolta Il porto sepolto del 1916) ed è riferito alle
fatiche del padre fin da quando era piccolo, divenute poi maggiori da adulto.
Fa parte della lirica Ho sognato mio padre da bambino: possiamo
riscontrare nei due poeti una stessa cognizione del dolore, sebbene di genesi
diverse. Vi sono altri nuclei in cui emerge questa tematica intensa, profonda,
di spessore umano notevole. Tra gli altri quello della poesia Miei cari,
dove si sviluppano ricordi che ancora lavorano come spine nel suo animo,
che non finiranno mai nel dimenticatoio, come la lunga malattia del padre; il
poeta chiaramente ci dice: i miei cari dipartiti sono ancora con me ed io sono
sempre con loro. E quello della poesia Dove sei, padre – collocata non a caso
nelle Dieci
poesie d’amore - in cui è particolarmente toccante l’anafora
iniziale, pregevole lo stile secco e asciutto … il resto parla da sé: “Dove
sei, dove sei, dove sei, padre, / accendi la tua luce, / mi farà da cometa
sulla strada. / Consumerò i piedi nel cammino. / Mi farò zoppo, migrante e
malandato, / supplicando acqua, pane secco e fango. / Vincerò il dolore, stai
sicuro. / Anche se non sarà di certo / quello che mi lasciasti / il giorno dell’addio;
/ quello che ancora grida / con echi rimbombanti dentro di me”. Testimonianza
di un amore filiale sconfinato.
Ecco dunque il perché dei Ricordi pungenti che
– insieme alla parte centrale del libro, cioè Dagli scaffali della biblioteca
– trattano in sostanza della tematica escatologica del destino umano, del
dialogo tra i vivi e i morti, sia che si tratti dei propri cari che degli
uomini illustri delle lettere: una tematica di grande civiltà, di pietà umana e
cristiana. In tal senso il poeta si colloca in un filone letterario che va da Dante
a Foscolo
– per citare i più illustri – e che accomuna tutti quegli autori desiderosi di
una continuità della vita dopo la morte: Dante con la speranza cristiana nella
salvezza dell’anima (Divina Commedia 1321), Foscolo con la sua
religione della memoria, che crede nell’eternità del ricordo stabilita nel
famoso verso: “Celeste è questa corrispondenza di amorosi sensi” (Dei
sepolcri 1807). Esiste quindi in tali visioni una sorta di sublimazione
della realtà della morte, ed anche una specie di non accettazione della fine
della vita, vissute come un’ingiustizia troppo dolorosa da accettare senza
trovare una via d’uscita, un conforto sebbene illusorio. E così il poeta mette
in scena i personaggi letterari a lui cari, facendoli rivivere, estraendoli dai
volumi della sua biblioteca: li fa parlare e dialogare tra loro e con sé
stesso, ne cita a lungo dei brani lirici per ricordare le loro tematiche. In
sostanza li chiama ad un consesso generale per togliere la polvere che il tempo
può avere depositato sulle loro opere. Ma c’è anche una parte di fantasia in
tali rivisitazioni: da alcuni di essi l’autore immagina di ricevere messaggi da
consegnare a congiunti viventi o sulle tombe di coloro che han già compiuto l’ultimo
viaggio, e in genere si tratta di comunicazioni d’amore e d’affetto nel
tentativo di tener viva la memoria di sé. Come si vede non si tratta dunque
solo del pensiero e dello stile poetico di costoro, ma sovente Pardini si
sofferma su episodi della loro esistenza che ne mostrano il volto umano, i
tratti di inquietudine, le loro tribolazioni. Qui mi pare che possa emergere
anche il concetto di biblioteca non come deposito di un sapere del passato e
quindi museale, ma come fonte di vita per gli assetati di cultura che vogliono
trarre dai capolavori di ogni epoca un arricchimento, poiché hanno qualcosa da
dire e da insegnare anche oggi: pure la mia esperienza mi ha suggerito che
talvolta c’è più vita nei libri, che in certe vite anonime e aride. Il lettore
poi vedrà da sé l’approccio a questi personaggi illustri, io qui posso solo
elencarli per suscitare la sua curiosità: Chagall (unica eccezione non
letteraria), Catullo, Manzoni, Leopardi, Baudelaire, Platone, Dante, D’Annunzio,
Saba, Pavese, Cardarelli, Ungaretti, Pastonchi, Bertolucci, Caproni, Campana,
Aleramo, Trilussa, Foscolo, Montale, Quasimodo, Solmi.
Delle Dieci poesie d’amore la maggior
parte è dedicata al ricordo di Delia, un amore giovanile ai tempi della scuola,
quando si sogna di tutto e il suo contrario: qui troviamo i versi più ispirati,
romantici, sognanti e ricchi di ideali e sentimento, come: “Mi è passato daccanto
il tuo sorriso / … / L’ho catturato con la rete da pésca / e l’ho messo sotto l’abat-jour.”
(da Con
la rete da pésca); “Ti ricordi con quanta timidezza / ci
guardavamo negli occhi. Era il tempo / delle mele. Il tempo delle fughe.” (da Corri Delia);
“Nei suoi occhi, / solo negli occhi, si rifletteva il mare / che la vide
sbracciata quella sera / un po’ folle, in corsa sulla rena.” (da Il sorriso
del mare); “Sono qui; ma tu dove sei andata? / Dove sei, anima dei giorni
miei? / Tutto è silenzio attorno . … “ (da Dove sei); “... Ed io ti amo, / ti amo di
un amore che sa correre / più dei tuoi passi allegri sulla spiaggia / ...” (da Non è più il
tempo). Ma uno spazio il poeta lo riserva anche ad altre
dimensioni dell’amore, che nella sua potenza espressiva si coniuga pure nel
rispetto e nell’adorazione della Natura, nel saper cogliere i frutti interiori e
spirituali dell’arte e della cultura: per questo basta leggere Amapola
e Se
non esistesse. Già poi abbiamo detto degli affetti
domestici a proposito della poesia Dove sei, padre.
In conclusione di questa
lettura del libro dell’amico Nazario, vorrei citare La mia casa, posta
nella sezione Ricordi che pungono: è un messaggio di
fratellanza universale ed un rimpianto per quei rapporti autentici che non
esistono più. Così dice il poeta con amarezza e speranza allo stesso tempo: “ E’
questa la mia casa. / … / Era un via vai / per leggere e ascoltare. Ora tutti /
se ne vanno in silenzio / per non essere veduti. / … / La mia casa non ha
preziosi in cassaforte / ha solo l’uscio aperto nell’attesa / di qualcuno che
passi e si soffermi, / per dire due parole”. Caro poeta siamo tutti così, noi
sparuta schiera testimone di un mondo che è cambiato, che cambia e che cambierà
sempre di più: noi rimaniamo fedeli a noi stessi, come la casa sulla roccia.
Enzo Concardi
Nazario Pardini, Dagli scaffali della biblioteca, pref. Marco Zelioli, Guido Miano
Editore, Milano 2020, pp. 120, isbn 978-88-31497-30-5.
Mi congratulo con Enzo Concardi per questa superba lettura dell'Opera del nostro Nazario, che ho avuto modo di recensire a fior di cuore ultimamente. L'autore con la capacità critica e dialettica, che lo caratterizza e che non esclude l'elemento passionale, mette in rilievo un aspetto saliente del testo, ovvero la questione dell'estetica, precisando quanto "nessun autore è mai riuscito a mantenere un alto livello lirico per tutta un’opera e tanto meno per tutta la sua produzione. L’esempio più vistoso è quello di Dante." Inoltre sottolinea come dall'Opera emerga "il concetto di biblioteca non come deposito di un sapere del passato e quindi museale, ma come fonte di vita per gli assetati di cultura che vogliono trarre dai capolavori di ogni epoca un arricchimento, poiché hanno qualcosa da dire e da insegnare anche oggi: pure la mia esperienza mi ha suggerito che talvolta c’è più vita nei libri, che in certe vite anonime e aride". La sua esegesi riesce a soffermarsi sulle caratteristiche che possono sfuggire - io non le ho prese nella dovuta considerazione -, e dimostrano il valore del grande talento critico. Applaudo ammirata Concardi e rinnovo l'entusiasmo dimostrato a Pardini. Li saluto entrambi con affetto grato.
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