NAZARIO PARDINI: PREFAZIONE A "OLTRE I CONFINI DEL PENSIERO" DI EMMA MAZZUCA
Lirismo d’inverno
Lirismo d’inverno, un bisbigliare
di cespi,
quando prossima è già la celere
partenza;
sinistri accenti di malinconici
canti
che, al vespro, enunciano
abbandoni.
Immagini dei miei sogni sepolti
nella tomba stessa di un colpo
fatale.
Carità veronica di sconosciute
regioni
dove a prezzo d’etere si lascia la
vita.
Guardando l’aurora andrò via
piangendo;
e mentre i miei anni si andranno
piegando,
curverà tralci il mio solerte
percorso.
Nel gelido crisma di luna
agognante,
con marchi d’acciaio in terra
indolente,
- ululando – i cani scaveranno un
addio.
Iniziando da questa poesia
testuale si può entrare fin da subito nel mare magnum della poetica della
Mazzuca. La forma si fa aderente ad un animo in continua ricerca della verità,
del sogno; le parole si fanno ardite, scorrevoli, senza tregua per una
confessione estemporanea e diretta. Si può senza dubbio affermare che la poetessa
è in piena sintonia con il suo animo che chiede una confessione immediata,
senza ripensamenti o dubbi. E la parola, il sintagma, il fonema si fanno
compagni di una emozione che affida loro il compito di reificare gli impatti
emotivi. Ci colpiscono da subito le impennate creative e le invenzioni verbali
della Mazzuca: “bisbigliare di cespi, sinistri accenti di
malinconici canti, enunciano abbandoni, sogni sepolti, colpo fatale, i miei
anni si andranno piegando, luna agognante, terra indolente, i cani scaveranno
un addio.”. Un linguaggio di grande iconicità visiva, dove le parole nelle
loro euritmiche iuncturae ci dànno il senso di uno spartito
complesso ed armonioso. Ci colpisce anche il sentimento di spleen o
di malum vitae di cui la Mazzuca è preda.
Oltre i confini del
pensiero, il titolo, che, con
grande impatto emotivo è teso a reificare sentimenti e pensieri sulla vita, il
suo travaglio; su tutto ciò che comporta riflessione e emozione, illusione e
delusione che sono i cardini portanti del nostro esistere. E “La vita è un’attesa continua e, per riprendere una
celebre frase di Victor Hugo, «Rêver, c’est le bonheur; attendre, c’est la
vie», «Sognare è la felicità; aspettare è la vita» (Le
Feuilles d’automne). Sì, tutta la vita è una attesa di un qualcosa che non
arriva mai, una leopardiana verità che lascia l’animo amaro. Aspettiamo sempre
ciò che tarda, che non dà piena soddisfazione, forse perché il tempo
dell’attesa è stato troppo lungo.
Ibi omnia sunt: il
sogno, la realtà, le memorie, i propositi, l’amore, la sconfitta e la
rinascita. Proprio tutto della vita e dei suoi segreti nascondigli. La poetessa
compie un viaggio, una traversata, in mari a volte in bonaccia altre
burrascosi, pieni di scogli e di trabucchi, in cui è facile perdersi o
sfasciare la barca prima di giungere all’isola agognata, all’isola
della quietudine. Navigare il sogno della poetessa, andare,
viaggiare, senza tregua, forse per ovviare alle sottrazioni della quotidianità.
Andare oltre i confini dei nostri orizzonti, oltre le colline, i mari, alla
ricerca di un bene dimenticato, di figure e volti che sono scomparsi
lasciandoci dei vuoti che fanno male. Forse è la memoria che può sopperire a
tale sottrazione, riportando alla luce fatti e storie che tanto ci
rappresentano. D’altronde la vita è un percorso breve e articolato, durante il
quale ci lasciamo alla spalle episodi che parevano indistruttibili. Ora che
tornano alla mente ci commuovono e ci lasciano un cuore gonfio di
saudade, di nostalgia, di riflessione, anche, sulla durata di una esistenza che
fugge lasciandoci incapaci di reagire a tanta voracità: “… E se almeno sapessi che potrà tornare;/
se sapessi in quale domani verrà a riportarmi/ le vesti pulite, quella mia
lavandaia dell’anima!/ In quale domani varcherà la porta appagata/e felice di
dimostrarmi che può/- e come non potrebbe! –/sbiancare e spianare
tutti i miei caos.” (In quale domani?). Sì, tornano a memoria episodi che pungono e ci fanno
soffrire per non avere fatto o detto a suo tempo frasi che avrebbero
alleggerito il cuore: Settembre In quella notte di settembre/
fosti così buono per me…fino a dolermi!/Io ignoro il resto; a quel
fine non dovevi essere paziente, non dovevi./Quella notte gemesti nel vedermi
chiusa,/ forte e addolorata./ Io ignoro il resto; a quel fine non so
perché/ fui infelice…tanto
infelice!/ In quella soave notte di
settembre/ guardandoti compresi tutta l’essenza di Dio/ …e ti fui amabile!/E fu
ancora una notte di settembre/ che da una vettura…”. Ma c’è sempre l’amore, gli affetti,
il calore, la vicinanza che frenano il nostro ardire, riportando pace e
serenità, come scrive Van Gogh al fratello Theo, “I mulini non
ci sono più, ma il vento è sempre lo stesso. Quel vento che ci rende umani,
consapevoli del fatto di esistere in un mondo in cui le persone care coi loro
affetti ci rendono felici di vivere in questo spazio ristretto. Se è vero che “la
poesia è qualcosa di oscuro che fa luminosa la vita (Pasolini)”, è “un
viaggio nell’ignoto (Majakovskij)” e “non è poesia se non racchiude
un segreto (Ungaretti)”, è pure vero che ci libera da patemi che
abbiamo dentro e che non vediamo l’ora di esternare, perché, come scrive T. S. Eliot in East
Coker, nel secondo dei Quattro Quartetti: “C’è un tempo per la sera sotto la
luce stellare, un tempo per la sera sotto la lampada accesa, (…) L’amore è
ancora più di se stesso quando qui ed ora perde d’importanza.”: E qui l’amore sembra dominare la scena, un
amore totale, plurale, per tutto ciò che riguarda la Nostra: l’uomo, la
natura, gli affetti, i cari, le memorie, anche, che riportano giorni
e ore di un passato lontano, di primavere che parlano di vita: “…In questa notte piovosa,/ già lontana da
entrambi …sobbalzo…/sono due porte che si aprono e si chiudono/due porte che al
vento vanno e vengono/ombra a ombra.” (Ombra a ombra). Forse chissà anche dopo
la morte: “Sono sola al mondo/ e non c’è un’altra me,/sei solo al mondo/ e non
c’è un altro te,/in noi c’è un amore unico, amico mio caro,/fino alla morte,
fino alla fine.// E poi ancora dopo la morte.”. Tanta spiritualità si fa
portatrice di un messaggio che ci coinvolge e ci dà la voglia di vivere con in
cuore una fine che non è mai fine. Anche la vicinanza a Dio, allo spirito
contemplativo, ad un credo di forte impatto esistenziale fa di questa silloge
un sano affondo spirituale, che rende ancora più escatologico il mondo della
Mazzuca: Ascolto: “Ascolto, ma non so se ciò che sento/è silenzio o
Dio. Ascolto, senza sapere/se sto udendo risuonare il vuoto delle piane/o la
coscienza accorta che nei confini/ dell'universo mi decifra e imprime./ A
stento so che cammino/come chi è ammirato, amato e conosciuto/ e per questo in
ogni gesto appongo/solennità e rischio.”.
Un
credo che trova la sua consistenza nell’amore per la Natura, che si fa
concretizzazione di forti stati emotivi. Ogni suo angolo è vissuto
come bellezza divina, come voluto dal Cielo, per cui tutto è metaforico, tutto
è simbolico, tutto è cristallizzazione di emozioni nei tratti del Creato:
Il
tuo nome
Mi
lasciasti infuocata di carezze
in
un luogo senza domani;
ora
spoglia di emozioni
vestita
solo della tua mancanza
ti
regalo il mio silenzio
pugno
di vento che sibila il tuo nome.
Una silloge complessa, articolata,
proteiforme che divisa in tre sezioni (LA VOCE DELLO
SPECCHIO, TEMPUS FUGIT, I GORGHI DELL’ANIMA) ci dà una completa visione del
rapporto dell’essere con le diverse fenomenologie della realtà:
Natura, Dio, esistenzialismo,
eros, e vita.
Nazario Pardini
Cara Emma, complimenti per il tuo ennesimo lavoro. Vedo che anche tu sconfiggi i tuoi malanni con lo scrivere. Mi sei vicina sia nelle tematiche, sia nel modello di vita. Che Dio ci dia tempo per tante altre liriche!
RispondiEliminaCarla Baroni
"Sì, tutta la vita è una attesa di un qualcosa che non arriva mai, una leopardiana verità che lascia l’animo amaro". Grande Nazario alle prese con una Poetessa polisemica, leggendo la quale fa capolino l’inevitabile fantasma di Leopardi, nume anche inconsapevole di chiunque voglia fare i conti con la propria esistenza, vincere la paura del poi, che è possibile se accettiamo di trascendere i dubbi. Ho letto molto della Mazzuca, la ritengo un fulcro del lirismo contemporaneo e in questa Silloge credo che, come fiordi, riaffioreranno inevitabilmente le tematiche care all'Autrice. Rischio di ripetermi, ma un Poeta che recensisce un'altra Poetessa è storia da giganti e merita ammirazione profonda! Un saluto affettuoso al nostro Nocchiero e a Emma.
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