Vaccinarsi contro il giudizio affrettato
Claudio Fiorentini,
collaboratore di Lèucade
L’uomo contemporaneo è
stato condizionato moltissimo dalla TV: stando seduto ha vissuto emozioni,
pensato, approfondito, viaggiato, tifato e… ha assorbito passivamente uno
schema spaventoso proposto da quelle serie e quei film dove buoni e cattivi si
confrontano, dove si ama e si odia, dove si spara e si insegue, dove si indaga
e si mettono bombe. In altre parole, stando comodamente seduto ha subito un
bombardamento di violenza e pubblicità senza che potesse ricorrere a meccanismi
di difesa. È vero che con la TV, finita la strage, ci si rialza dalla poltrona,
si guarda l’ora e si va a letto, ma è anche vero che quelle immagini,
inevitabilmente, continuano a lavorare nella mente.
Ma se con la TV la sola
interazione possibile è l’interruttore, l’uso di tablet, PC e smartphone,
invece, ha introdotto una nuova variante, che consente interazioni di base e, a
volte, anche di qualità. Purtroppo, però, l’uso generalizzato di questi
strumenti, è diventato l’apoteosi della vigliaccheria in quanto consente di
“dire la tua” senza contraddittorio. Insomma, questi strumenti che portano la
tua voce in rete hanno la grande virtù di trasformarti in “protagonista” della “serie”
o del “film” che stai vivendo, di illuderti che con un banale “mi piace” o con
un post, con una foto o con un commento sulle reti (a)sociali, sei parte di una
dinamica di pensiero, quando in realtà non fanno altro che trasformare la vita
in videogioco, e tu la vivi dietro un display. E lo fai anche se sei in autobus
o in una sala d’attesa, con i tempi ristretti che non ti consentono di fare
eventuali verifiche. L’importante è dire la tua. Solo che in gioco rientrano
molti fattori come il tempo, la vita stessa e le relazioni umane per le quali
si delega una rete che, messi in moto i suoi algoritmi, ti mette in contatto
con quelli che la pensano come te e ti consente di dare dello scemo, insultare
o addirittura “bannare” (atto di violenza estrema e manifestazione di coraggio)
quelli che non la pensano come te. Tutto virtuale, comunque.
Questo ha effetti deleteri
anche sulla memoria perché si dimenticano le notizie, il percorso storico e
l’evoluzione degli eventi che ci hanno portato dove siamo oggi.
È paradossale: la rete
contiene tutto, ma proprio tutto, la rete è la memoria dei fatti, ed ha la
grandissima virtù di rendere accessibile l’informazione che contiene, ma
l’utente della rete dimentica e, pur avendo a disposizione la memoria, non si
cura di cercare risposte. La memoria dei fatti è inutilizzata, importa solo il
“click” di quel momento di protagonismo, per cui la memoria dell’utente diventa
come quella dello scoiattolo che non ricorda dove ha nascosto le ghiande.
Qui entra in gioco
l’individuo (utente della rete, giornalista o altro): prima di prendere per
buona una notizia dovrebbe cercare informazioni sul tema. È difficile, anzi,
utopico, ma è così. Inoltre, dato che il lettore ha la tendenza a isolare una
frase da un discorso per poi riportarla spacciandola per verità assoluta, si
dovrebbe ricordare sempre che questo comportamento comporta una grande
responsabilità: qualsiasi intervento nella rete può diventare bacillo di
disinformazione e riportare una citazione, senza curarsi del discorso o del
contesto in cui è immersa, può diventare un atto di manipolazione
dell’informazione.
Intendiamoci, citare i
grandi della storia non è errato, del resto i grandi hanno il dono della
sintesi, ma non va bene leggere un articolo su un giornale ed estrapolare una
frase dal discorso per poi scudarsi dietro quella frase, prendendola per verità
assoluta, quando magari nello stesso discorso si articola un pensiero assai più
complesso.
Oggi sarebbe opportuno, per
come si tende ad assorbire le informazioni, vedere la rete come un potenziale
generatore di confusione che, approfittando dell’ignoranza e della pigrizia che
ci impediscono di approfondire titoli, citazioni o notizie, non fa bene alla
comunità. Già, perché ragionare per citazioni oggi è diventato una patologia, direi
che ormai è endemica, che si manifesta nelle reti (a)sociali, e che porta a
dire a chi pubblica e condivide quella citazione “questa è la verità, il resto
sono fesserie”. Per questo credo che le reti (a)sociali andrebbero frequentate
solo dopo aver fatto un vaccino contro il giudizio affrettato.
Questo vaccino forse è
l’educazione, o forse lo studio, ma sembra che sia stato perforato da una
variante assai aggressiva, quella che oggi ci fa dire “adesso te lo spiego io
perché tu non hai capito una mazza” o anche “noi siamo bravi, loro non
capiscono” invece di dire “sentiamo cosa hai da dire e discutiamo”.
Claudio Fiorentini
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