sabato 29 gennaio 2022

EMMA MAZZUCA E LA POESIA


Mi è giunto oggi per bontà di  Emma Mazzuca, il file originale del libro che verrà pubblicato dalla casa editrice Bastogi. Ho già scritto altre volte sulla  sapientia scritturale della nostra, sul suo animo zeppo di emozioni e di immagini che arricchiscono il testo. In copertina la morte simboleggiata da un colombo ad ali ormai spente e spalancate senza vita. Scrivere sulla poesia di Emma è come essere accarezzati da una piuma leggera che ti sfiora. Il suo dettato lirico ti avvolge e non ti molla finché non sei cotto a puntini a livello emotivo.   

Il logos e il pathos si amalgamano in un insieme che dà voce al canto, rendendolo attivo, fattivo, pregno di stadi emotivi che concretizzano il verso. Un verso fluente, leggero ora ampio, ora ristretto in un campo emotivamente concreto atto a reificare gli stadi emozionali. Ma io credo che partendo da una poesia incipitaria si possa già andare a fondo nell’arte magica di questa scrittrice, maestra del verbo e dei suoi legami, dei suoi intarsi:

All’improvviso

 

All’improvviso ecco che qualcosa non

va più, un meccanismo perfettissimo

funzionante a meraviglia di colpo

s’inceppa. I giorni diventano secoli

la mente non conosce più il tempo.

L’istinto scatta affannoso alla ricerca

di un’ancora antica, ma qualcosa

d’irreparabile e grandioso è successo.

Il passato è uno stagno, il futuro ancora

più oscuro. L’idea della morte è qui,

a un passo da me, posso coglierla,

come sollevare un bambino.

La mia idea di morte si fa chiara in

questo vuoto, come l’idea di Dio.

A me Dio piace immaginarlo in una

pietra qualunque, in una infanzia serena,

in un frutto maturo, nell’onda del mare,

che come la morte cancella il mio nome.

 

Qui in questa silloge, in questa confessione emotiva, omnia sunt: il memoriale, la coscienza di un tempo che fugge senza tenere di conto del tuo disagio interiore, la  bellezza della natura, dei suoi simboli che si fanno linguaggio nei versi della Mazzuca, nei suoi fremiti, nelle sue vertigini simboliche, il canto del mare, la felicità, la tristezza. Ma quello che colpisce da  subito è la maestria della parola, l’eleganza della scrittura, e soprattutto la capacità di concretizzare nelle latebre del verso gli input dell’autrice, i suoi stati d’animo. Di sicuro siamo di fronte ad un dettato lirico più vicino alla nostra tradizione, che ad una poesia di sperimentazione prosastica, impersonale dove l’io si perde nei meandri dell’esistere. Anzi qui il soggetto è fattivo, attivo, e anima di sé ogni ambito della silloge.

  Profumo d’ambra

Le ali sempre più scure di un gabbiano

morto all’improvviso sventolano nel vento.

Per me è il primo vento.

 

Oggi invece, per lui, è già l’ultimo,

un po’ nel cielo, un po' nel suolo e sempre

nel vento del mare, sei tu il grande respiro,

sei tu la grande assenza,

mi fido, ti stimo.

 

Di nuovo un gabbiano vitale vola via nei

giri gracchianti sopra alberi di ambra sempre

più silenziosi e rossi di sera radiante,

e sopra la mia mano aperta.

Vola via,

A me pareva di svegliarmi proprio qui

– proprio oggi, mai ieri, ma assente –

nel profumo d’ambra testimone d’eternità,

fuori oggi come fuori da ogni destino,

a me pareva che le ali

sventolassero ancora.

 

I profumi, il tempo che scivola via, la fine, il principio, i riferimenti ad una natura che si fa oggetto del canto, l’eternità, le sembianze e la realtà. Un insieme di sensazioni che si palesano in un sentire affollato e polimorfico.

L’amore, eros e thanatos, che vivacizzano un sentimento pieno di pathos:

Come tanti anni fa riaccadrà

 

“Non si può soffocare a lungo un amore.

 

Lo si può ritardare questo sì,

per vari comodi o per estreme deludenti

sensazioni ma infine trionfa.

 

Lo si può nascondere con violenza

per anni o con indifferenza lo si può

pietosamente subire o soffrire in silenzio

ma infine trionfa.

 

È un plagio istintuale rapace che ci assale

sereno, ci opprime.

Così accadde a noi tanti anni fa.

 

Dopo il fulmine cercammo storditi

umanamente il sereno,

il refrigerio del distacco,

sperammo a lungo con passione

nella morte dell’altro adducendo

l’imprevedibile trincerandoci ostili

a combatterlo, armati di nuove prove

e insormontabili difficoltà.

 

Ma l’ultimo appuntamento

sarà inesorabile

più delle nostre vili paure.

 

Come tanti anni fa riaccadrà….”

 

Una silloge plurale, complessa e completa, dove ogni angolo del pensiero e dell’animo viene toccato da una mano leggera e ammiccante, con riferimenti ad un sentire multicorde e vario.  

Ce lo dice e conferma una delle ultime composizioni che nella luce che spezza il buio la poetessa trova la sua strada di braccia che toccano le mani senza parlare; come un fiore simbolo di una natura profumata e splendente.

Era una notte aperta alla notte

 

Era una notte aperta alla notte quando mi

ha incantato una luce schietta nel buio ed

era come un gran correre di braccia al cuore,

e quella notte sembrava un fiore

che mi toccasse le mani senza parlare.

 

Chiudere con una pericope tratta da una esegesi sulla poesia della Mazzuca credo sia come la ciliegina sulla torta: 

Una silloge proteiforme che ci dà una completa visione del rapporto dell’essere con le diverse fenomenologie della realtà:

Natura, Dio, esistenzialismo, eros, e vita.

Nazario Pardini

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