EUGENIO
REBECCHI. TERZO TEMPO. BLU DI
PRUSSIA. 2021
Iniziare
da una pericope della prefazione di Antonio Spagnuolo significa penetrare fin
da subito nella feconda e plurima intonazione della silloge di Eugenio
Rebecchi: “… Eugenio Rebecchi affonda nei misteri di un orizzonte di attesa, in
un alternarsi di cerchi concentrici tra emozioni e pennellate, memorie e
illusioni, sussurri e frantumazioni, ricorrendo con il ritmo originale dei suoi
versi a giochi di rimandi visionari, resoconti dettagliati e coerenti che
sospingono verso l’ignoto, ritagli di memorie, abbagli di illusioni….”. Autore versatile fa dei suoi scritti un
resoconto della vita; un riassunto emotivo dei suoi stratagemmi memoriali. Sì,
vita. E il poeta traduce il suo vivere in un’autentica opera d’arte: orizzonti,
emozioni, pennellate, memorie, illusioni, giochi di rimandi visionari, ritmo
dei suoi versi, ignoto, abbagli, illusioni. Ibi omnia sunt. Questi sono gli
ingredienti della vicissitudine terrena.
Essere in possesso della forza scritturale, dei sintagmi, dei fonemi, dei
marchingegni stilistici per reificare passioni e moti dell’anima. E cosa è la poesia se non che il turbamento
interiore, la passione, l’emozione che viviamo di giorno in giorno. Non è di
sicuro poesia la rivoluzione che un certo numero di poeti hanno intenzione di
fare ricorrendo a riforme di positura prosastica, di memoria minimalista, di
spersonalizzazione, di assenza dell’io poetante. La poesia è partecipazione,
non è assenza; è attiva, fattiva, una confessione in cui l’essere rovescia
tutto se stesso sul foglio: il suo modo di sentire e di vivere, di pensare e di
gioire, di soffrire e di amare. E la poetica del Nostro è come un viaggio in
mare, verso l’isola che appaghi i nostri desideri; e si sa che l’isola verso cui navighiamo è dentro di noi,
difficile da raggiungere, spesso impossibile: il mare può presentare
meravigliosi panorami, bonacce, albe e tramonti di poetica intrusione; ma può
anche riservarci burrasche e sorprese di letale apporto, scogli perigliosi in
cui sbattere con l’imbarcazione, frantumarla; il poeta non si avvilisce,
continua il suo viaggio anche su una tavola scampata, vedendo dentro sé la
sagoma dell’isola agognata. Là ci sarà la realizzazione dei suoi piani, dei
suoi sogni; là potrà ricostruire la vita ricorrendo alle memorie di un
soggiorno; amare è quello che conta,
sentire dentro lo stimolo del viaggio, il richiamo della donna amata, la
calamita dei giorni perduti, la voglia del ricupero. Insomma vivere, rischiare,
e con audacia affrontare il viaggio a fronte levata, senza tentennamenti. Questa
è il viaggio emotivo e fisico di Rebecchi, il suo navigare in acque non sempre
tranquille, non sempre placide, in un oceano tanto vivo quanto la vita. In un
esistenzialismo folto di spunti vitali. D’altronde ci vorrebbe un faro davanti
agli occhi per indirizzarci verso la luce, ma non è detto che anche così il cammino
porti ad un verità, a quella che noi affannosamente cerchiamo nella nostra
permanenza. Il faro illuminerebbe una parte del viaggio, una minima parte, il
resto sarebbe buio, oscuro, che ci vedrebbe brancolare senza certezze in questo
breve spazio che ci è toccato. D’altronde il male dell’uomo è quello di
conoscere la fine, di essere cosciente della pochezza e della precarietà dell’esistere.
Non possiamo sapere fino a che punto si estende il nostro sapere, di niente
siamo sicuri, non esiste certezza, e spesso pensiamo di avere detto tutto, e
scoraggiati: “… Posiamo (Poso) la penna/e spengiamo (spengo) il computer”; o
riflettiamo sulla nostra vecchiaia con il rimorso di non avere fatto o detto
certe parole: “Il passo rallentato/lo sguardo acquoso/…/ incorniciano l’uomo/
che chiamiamo vecchio”; o come mareggiata cancelliamo lunghi tratti di spiaggia
come ricordi che non si accettano più quale memoria. Una cosa è sicura: lo
stile del Nostro è fluente, apodittico, conclusivo, allegorico, umano; scorre
liscio, semplice e armonioso senza ricorso a stratagemmi retorici; non ha
bisogno, il poeta, di ricorrere a troppe figure, dacché la vita è tutta qui, su
un piatto d’argento o di porcellana, con le sue quattro regole, rincorsa, mordicchiata, graffiata.”; 66
poesie che ci informano in maniera chiara e visiva sui tanti perché
dell’esserci: da Media Valle del Tevere: “… Vivremo consapevoli che
proseguirete/a cavalcare i giorni ad uno ad uno/orgogliose d’un padre ed una
madre/attaccati, per quanto possibile, alla vita”, a Todi di rimpettaia: “Per voi
che siete rimasti/c’è la noia dell’usura,/per noi che siamo andati/ c’è
l’incanto del nuovo…”, da L’estate finiva prima, in cui il poeta dichiara di essere
impotente, non conoscere niente del futuro, di non avere nessun potere
visionario, di essere lì per caso: “Io so di un tempo in cui l’estate finiva
prima;/io so di una ragione senza mare, né spiagge;/io so di santi che hanno
lasciato un segno;/ma non so cosa accadrà domani…”, a Torri gemelle: “Ci fosse
un dio del bene non permetterebbe;/ricaccerebbe le bestie sanguinarie/nel suo inferno
di fuoco/ e libererebbe i popoli da ogni schiavitù”, da Porzione di tempo:
“Sarebbe bello scoprire/il perché di questo tempo/ che chiamiamo vita.”, a
Quadretto: “Una nuvola rosa/s’è fermata/ oltre le mura/di questo antico borgo/ e
par che attenda/la benedizione del sole/per un nuovo ricamo/ alle sue spalle”,
fino a Occidente. Un quadro ampio e focale di un uomo che sente e dice quello
che pensa, senza mascherare quel tanto di melanconia che lo inquieta sul fatto
di esistere, spicciolando in semplici versi concetti che potrebbero essere materia
per una generazione di filosofi, che rendono ingarbugliato ogni pensiero, anche
quello semplice e diretto come il verso del Nostro:
Ad
ovest del tuo sguardo
c’è
un vecchio signore
che
spinge i propri passi
verso
il punto preciso
in
cui ti sei fermata
ad
aspettarlo.
Nazario Pardini
Caro Nazario, come ringraziarti?
RispondiEliminaNon posso che apprezzare e gradire il tuo prezioso commento al mio "piccolo canto". La cosa mi emoziona e quasi mi imbarazza!
Come sempre, hai saputo scavare tra i versi cogliendone significati e materia. La tua scrittura (a me nota) è il raffinato e colto incedere di un poeta autentico cui non è necessario aggiungere aggettivi.
Conserverò il tuo pezzo nello scrigno dove ripongo ciò che mi ha dato gioia ed entusiasmo, grazie.
Ti abbraccio
Eugenio
Eugenio Rebecchi è poeta dell'anima, signore (non in senso classista ovviamente) della poesia.
RispondiEliminaLa recensione di Nazario è un vero e proprio tributo a queste sue peculiarità, con il valore aggiunto della penna di un altro poeta autentico.
Non ho ancora avuto il piacere di leggere il libro ma conosco la poesia di Eugenio e quando leggo versi come questi non posso che ritrovarcelo in tutta la sua statura di uomo e di poeta:
Ad ovest del tuo sguardo
c’è un vecchio signore
che spinge i propri passi
verso il punto preciso
in cui ti sei fermata
ad aspettarlo.
Così come non posso che condividere queste illuminanti parole del suo recensore:
"Autore versatile fa dei suoi scritti un resoconto della vita; un riassunto emotivo dei suoi stratagemmi memoriali. Sì, vita. E il poeta traduce il suo vivere in un’autentica opera d’arte: orizzonti, emozioni, pennellate, memorie, illusioni, giochi di rimandi visionari, ritmo dei suoi versi, ignoto, abbagli, illusioni. Ibi omnia sunt.".
Grazie ad entrambi per questa boccata d'ossigeno.
Sandro Angelucci
Grazie, Sandro, amico gentile, onesto e competente.
EliminaEugenio
Entusiasmante questa pagina critica che vede il nostro Mentore inoltrarsi nel meraviglioso mondo Poetico dell'amico, Editore e Artista Eugenio Rebecchi. Un viaggio nel viaggio, quello di Nazario, che esplora l'essenza della navigazione del poeta nell'oceano dell'esistenza. Si fondono due anime votate all'ulissismo, all'avventura tra 'rimandi visionari, resoconti dettagliati e coerenti che sospingono verso l’ignoto, ritagli di memorie, abbagli di illusioni'. L'esegeta coglie l'essenza e i dettagli della poetica di Rebecchi grazie alle incredibili capacità di lettura e alle vibrazioni interiori. Commuove scoprire un Poeta così intenso, filosofico, senza 'pensieri ingarbugliati', come sottolinea Nazario, che sa interrogarsi sui tanti perchè relativi al nostro transito terreno rompendo gli stampi, avvicinandosi all'inchiostro e al sangue. Un Poeta che ha i sensi ammaestrati per percepire le voci più o meno misteriose della vita. Conosco Eugenio e il suo entusiasmo, il suo slancio vitale e nelle liriche postate da Nazario ritrovo l'uomo e l'Artista autentico, appassionato, che non si vergogna di mettersi a piangere in mezzo alla strada. Il nostro Nocchiero gli assomiglia molto a livello caratteriale e le affinità si riscontrano in questo diamante incastonato nell'Isola! Li ringrazio entrambi e li abbraccio forte!
RispondiEliminaCaro Sandro, amico mio, grazie a te per esserti intrufolato tra i miei versi pur non avendo ancora letto il libro (lo riceverai presto!). Il tuo commento è, ogni volta, un'equilibrata, competente disamina che, non solo mi reca piacere, ma resta un segno di forte sensibilità cui non posso che far tesoro!
RispondiEliminaTi abbraccio
Eugenio
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Maria cara, è con gioiosa sorpresa che leggo le tue righe. Mi fa piacere la tua vicinanza, mi emoziona quanto scrivi e mi convinco sempre più della grandezza di un'amicizia. Grazie, ti stimo e ti voglio bene. Un forte abbraccio
Eugenio