Mi sono arrivate, via mail, 5 sillogi di Giuseppe Iuliano (Parole d’amore, Parva materia, Tantilia, Vento di fronda, Via crucis) i cui versi, con icasticità figurativa attingono da un animo atto alla poesia; una espressività intima e loquace che con tutto il suo ardore emotivo dà il meglio di sé in un linguismo semplice e carico di spirito. Ibi omnia sunt: la vita, le memorie, l’amore, gli affetti, ed una natura che contribuisce coi suoi fremiti a reificare sentimenti e sensazioni. Pathos e logos si amalgamano in una miscellanea di vorticità visiva da lasciare di stucco; da eros: “Amo la tua faccia pulita, aroma di canditi e vaniglia/anima e spezia di donna/ e il tuo desiderio di carne”; a Thanatos “…Nel sepolcro ossifica l’arcano, spirito ed eterno./Una grande pietra schiaccia le tenebre/ sovrana del mistero schiude gli inferi./ Attesa di tromba prepara al risveglio/ed attende l’uomo nuovo - libro di Gioele/ - tra folla a giudizio nella valle di Giosafat/Pegno di cielo/terra lo Spirito./ Sette i suoi doni./ E allora vivo.”, dove la silloge scorre coi suoi sintagmi e i suoi stilemi in un percorso di ampia musicalità significante.”. Tutto è dolce e intimo; il poeta, con la silloge che lo trascina in un mondo di ampia sinfonia spirituale, di escatologico effluvio umano e divino, si trova immerso in un vortice di vertigini celestiali. In ogni dove il linguaggio si fa pertinente e deciso, melodico e reificante a ritrarre un animo volto alla grandezza dei Cieli; allo stupore del Creatore. Sillogi plurali, polivalenti, energiche e vitali per l’uso sapiente di un verbo che concretizza gli slanci emotivi di un autore preso dai vortici della creazione; dal dolore di un uomo che soffre sulla croce per la salvezza del genere umano; stupenda, umana, questa poesia che segue, per la caratura di un verso che tiene tanta esplosione sentimentale:
4. Gesù incontra sua Madre
(Analogie e
digressioni sull’inno
di Romano il Melode)
Madre sfinita
raccogli le
ultime forze barcolli umiliata stordita distrutta. Dei miei
anni
sacrario domestico oggi ti restituisco il resto di niente.
Mi restano
palpiti
e
vergogna di nome. Pensiero arbitrio di folla è già macchia che non lava smacco e
disonore.
Tu non meriti inganno scherno e
disprezzo.
Insisti inquieta disperata
a cercarmi figlio.
Tu prima vera certezza della vita sorriso moina diventi
impeto estremo sussulto gemito che si allontana e
si spegne.
Ieri orgoglio e
vanto tra i saggi del tempio oggi arreco sconforto infamia scandalo
alle tue apprensioni alle insonnie nodo in gola mistura di
lacrime amare fonte d’amore dove sgorgano le
stille. Madre si spezza il cuore nella stessa pena.
Nazario
Pardini
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