SULLA POESIA
Risposta a uno scritto a me indirizzato dal critico
Dino Carlesi
La Poesia non è solo questo deve,
(Mi scrive Carlesi: La Poesia moderna deve essere ambigua...né deve fare
avvertire un eccesso di determinazioni, di aggettivi... di significati troppo
precisi) ma è qualcosa di molto più semplice o di molto più misterioso se
si vuole. Io non darei tanto valore al contenuto, quanto all’anima che lo
ospita, né ridurrei il tutto ad una questione di forma prototipo da
generalizzare, ma piuttosto darei spazio a un dire personale. E proprio ogni
tematica sia religiosa che politica, sia agreste che erotica, o altro può
assurgere all’Olimpo misterioso della Poesia, ammesso che, una volta tuffata in
un animo che la vive con giusta intensità,
venga poi resa immagine. Sennò non si capirebbe come tanti scrittori e
Dante stesso siano riusciti a compiere capolavori con argomenti quantomeno vari
e diciamo pure scabrosi (teologici, filosofici...) per un registro poetico. E
nemmeno si capirebbe come Pirandello sia riuscito a tradurre il suo pensiero
filosofico di forma e vita, tanto cerebrale e preciso nelle sue
pur variegate creazioni, in così tanta poesia umana quale in effetti è la sua.
Nel saggio epistolare che mi hai dedicato mi permetto di notare un insieme di
regole e di ragionamenti che rischiano di intralciare la vera anima della
Poesia: la libertà. La Poesia
stessa è un grande mistero e come tale pretende il suo alone di ambiguità e
indeterminatezza, certo, ma anche questa affermazione rischia di costringere
l’autore ad una espressione obbligata: non si può condannare una forma perché
diversa dalla nostra o perché si allontana (troppo precisa) da un’ipotetica via
che, unica, possa collegare l’esistere di noi poveri mortali al mondo di Orfeo.
Cosa che io mi permetto di considerare fuori dal tempo se si pensa che la
libertà (la più grande conquista dell’arte) era già stata conseguita dai
Romantici, anche se il poeta romantico
chiedeva la decifrazione del suo mondo interiore. Ogni poeta, e non solo, ha la sua vicenda da
narrare e lo fa con un suo stile e con una sua voce (certamente essere in
possesso delle tecniche della scrittura è indispensabile). Quanto poi alla
indeterminatezza e laconicità espressive che lascino spazio alla immaginazione
del fruitore, non sono certamente cosa nuova. Il Leopardi stesso affermava che la Poesia deve essere vaga in
modo che ogni lettore se ne possa vestire. E per raggiungere lo scopo si
serviva dei suoi arcaismi. Ma io credo che ognuno si debba esprimere con lo
stile che più gli confà. Con quello che gli sgorga direttamente dall’anima
senza cadere troppo nel tecnicismo, nella freddezza del ritocco e
dell’accomodamento; anche se a volte necessari, tendono più ad adattare un
verso ad un ragionamento che ad uno stato d’animo. E quando leggiamo poesia il
discorso è sempre personificabile e lo è soprattutto se assolve alla sua vera
funzione di indagare l’anima universale. Dire poi che cosa sia o perché la si
scriva è come chiedere il perché si respiri. Troppo o nulla si potrebbe dire ma
è di certo la maniera più nobile di riconoscerci umani, indipendentemente dalla
buona o dalla cattiva sorte. D’altronde quanti si saranno tormentati sugli
interrogativi della poesia. Nel corso della storiografia critica ci imbattiamo
nelle più svariate interpretazioni. Per Omero è il canto ispirato all’uomo
dalla “dea” (Calliope madre di Orfeo). Per questo, sollecitato da un dio che
gli suscita in cuore il timore del rimorso (Acos), risparmia dalla strage dei Proci il cantore Femio.
Un secolo dopo per Esiodo è un dono sacro che asperge l’uomo e lo rende poeta.
Per Pindaro tra il poeta e la divinità si stabilisce un rapporto privilegiato;
ma in lui esiste anche una nozione chiara del suo scopo: l’obbligo di
conservare la memoria dei grandi avvenimenti per le generazioni future. Saffo,
la grande, nella sua unica ode intera a noi pervenuta, fa della poesia
un’inedita forma d’arte in cui si fondono insieme poesia, musica, pittura e
scultura diventando rivelazione di una sensibilità sovrumana simile a quella
espressa in più universale grandezza da Virgilio, Dante e forse anche da
Shakespeare e Goethe; ma Saffo ci ha lasciato anche un frammento, venuto alla
luce recentemente, (Perrotta: “La cosa
più bella”) ed è un messaggio che cambia il concetto del bello: non più
virtù guerriera e splendore delle armi, ma semplicemente ciò che a ciascuno
piace, “/ ciò che uno ama/” dice
Saffo. E qui è già formulato il nucleo della poetica romantica che rivendica
l’assoluta libertà dell’individuo da ogni categoria storico-estetica e morale,
quando fa di Elena una nuova eroina della libertà individuale per affermare la
forza irresistibile dell’eros.
A
parte la grande rivoluzione di Saffo, il viaggio sarebbe proprio lungo per
giungere alla storiografia contemporanea: da Aristotele a Platone, a Catullo, a
Orazio, a Ovidio, alle interpretazioni medioevali, contemplate nella loro
totalità dal pensiero del divino Poeta, alla visione ariostesca del
contemperamento rinascimentale e su su fino ai moderni. Per Leopardi (secondo
Binni) la poesia riecheggia la brama umana dell’infinito. Per E. A. Poe “la creazione ritmica della bellezza”.
Per Hesse equivale a (nel “Il mio credo”)
“dipingere dal di dentro in fuori in una
atmosfera di arcana sospensione in cui pittura e parola si scorporano in
astratta musicalità”. Per Th. Eliot il compito del poeta “non è quello di trovare nuove emozioni, ma
di usare quelle comuni e di esprimere, trasformandoli in poesia, sentimenti che
non si trovano nelle emozioni vere e proprie”. Fine umorismo inglese con
cui si ritorna a quello che già abbiamo espresso inizialmente; cioè che il
mistero della poesia, come quello dell’universo, è per lo più impenetrabile
anche per la poetica. E per concludere penso che la poesia non debba servire a
mistificare contenuti con giuochi rocamboleschi, con linguaggi astrusi o
scheletriti che volgano a limitarla con la preoccupazione di farle assumere
ambiguità interpretativa o altro. Ma qualsiasi argomento si accinga ad
affrontare o qualsiasi sentimento voglia esprimere, credo lo debba fare
soprattutto con l’intenzione di mettere una platea nella possibilità di
recepirli agevolmente, ricorrendo a figure che nascano e si sviluppino con
naturalezza e con lo scopo di offrire colorito ed ausilio, e non confusione al
messaggio poetico. Io credo tanto di più al sentimento che sgorga spontaneo che
alla ragione che lo controlla e se questo sentire ha bisogno di qualche
aggettivo, ben venga, non è mai del tutto inutile; anche il sostantivo più
completo può avere bisogno di una compagnia, come il corpo dell’anima. “La luce” non brilla come “La luce chiara”
Nazario Pardini
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