lunedì 7 maggio 2012

Valeria Serofilli su "La poesia oggi"


Alcune riflessioni di Valeria Serofilli intorno al senso della  poesia oggi

La poesia, oggi, è quel che manca, la sola in grado di fermare l’apparente ronzio del
quotidiano. La creatività e la forza salvifica, ad essa proprie, sono quanto mai necessarie in questa realtà di linguaggio-manipolazione. La responsabilità del poeta nei confronti della società è molto grande e anche se tale figura ha ormai perso la sua veste di custode della memoria storica e mitica collettiva, resta un insostituibile punto di riferimento in grado di usare la forza evocativa dell’affabulazione per risvegliare le coscienze in modo diretto e intuitivo. “Sono un poeta / un grido unanime”, recita infatti un verso della poesia “Allegria” di Ungaretti. Qualsiasi poesia ha una ricaduta sulla società a cui si rivolge, eppure troppo spesso quest’arte viene considerata inutile e le istituzioni non investono risorse per promuoverla. Secondo il critico e poeta fiorentino Franco Fortini,  la funzione del poeta impegnato è quella di “avvelenare i pozzi”, vale a dire d’insinuare dubbi all’interno degli organismi sociali al fine di scardinare gli equilibri precostituiti attraverso la sua parola poetica. La mia personale visione di cosa sia la poesia l’ho espressa nella mia recente pubblicazione Amalgama, in “Valeria Serofilli - La parola e la cura, Monografie di poeti contemporanei”,( puntoacapo Editrice, Novi Ligure, Luglio 2010),  mi riferisco all’immagine e al concetto di impasto, di mescolanza tra l’idea mentale e la sua forma scritta, ma anche del foglio con l’inchiostro e soprattutto fra il poeta e il lettore. L’ulteriore alchimia, rifacendosi infatti ad uno dei significati etimologici del termine, la determinante e la più fertile, è appunto quella tra il poeta e chi la riceve, in quanto la poesia è un nesso tra due misteri: quello del poeta e quello del lettore. L’aspetto artigianale del mestiere di scrivere a mio avviso non costituisce tuttavia che uno degli aspetti della scrittura. Il titolo di un’altra delle mie pubblicazioni Chiedo i cerchi (puntoacapo Editrice, Novi Ligure 2008) intendeva indicare invece quello che io chiedo alla poesia, la misura della circolarità, “quei cerchi che ho in me e che si tratta solo di separare per farne scrittura”. (D. Carlesi). In questo volume, palese risultava l’allusione a versi meritatamente famosi degli Ossi di seppia montaliani, nello specifico a “Non chiederci la parola”.
Ma se Montale parlava a nome di un’intera generazione di poeti che vedeva smarriti e si rivolge al lettore con il tu confidandogli di non avere messaggi risolutivi, il mio intento è invece quello di rovesciare il segno radicalmente negativo <<nel senso dell’assunzione di un impegno positivo d’indagine razionalmente esplorativa>>.(F. Romboli). Urge, oggi più che mai, un poieo che non sia travolto dal mal di vivere ma solo intaccato, per non risultare avulso dalla realtà e tuttavia al tempo stesso capace di  infondere positività nel lettore. Oggi più che mai si avverte la necessità di una parola poetica che sorga spontanea, “come le foglie vengono ad un albero”, ricordando l’aforisma di John Keats¹, senza prescindere tuttavia dall’interiorizzazione e successiva elaborazione di almeno qualche strumento di base della scrittura. Urge, a mio avviso, una espressione , un sentire poetico in grado, per la sua universalità, di eternizzare, andando al di là del contingente e del particolare, come sottolinea il grande Aristotele ². Perché non è affatto vero che “i poeti sono come i bambini: quando siedono ad una scrivania non toccano terra con i piedi”,  come scrive Stanislaw Jerzy Lec. Certa dell’impossibilità di dare una definizione esatta della poesia, concludo facendo mio il pensiero di S. Johnson ³, secondo cui più che parlare di cosa è la poesia oggi, sarebbe più facile dire cosa non è.

                                                                                         


                                                                                                          Valeria Serofilli

2 commenti:

  1. Condivido le tue riflessioni. Aggiungerei che l'esubero di poeti o presunti tali è significativo di un periodo di grande solitudine e di mancanza di
    contatto e ascolto autentico e profondo. Siamo monadi accecate, meteoriti senza meta. La poesia non ci salva, forse ci aiuta.
    Narda

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  2. la poesia è un nesso tra due misteri: quello del poeta e quello del lettore.
    Nella profonda riflessione che sto facendo in questo periodo proprio sul tentativo di dare una definizione della poesia, tentativo pressochè vano, come dici appunto tu Valeria, questo passaggio del tuo intervento credo si possa inserire in maniera abbastanza illuminante proprio, paradossalmente, nel suo non "spiegarsi". Si, di mistero si tratta, quando si parla dell'incontro tra lo scrittore e il lettore, mistero ancora più insondabile quando si parla di poesia, se per poesia è intesa non necessariamente nell'aspetto formale (il verso) ma in quell'amalgama che tu descrivi come "cerchi" interiori cui la poesia dà senso, spesso inconsapevole anche allo stesso scrittore, fin quando non è sedimentato nel lettore, che gliene rimanda il senso, che chiude il cerchio, dando valore di universalità al messaggio.
    Grazie.
    Maria Zimotti

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