Paolo Polvani:
"Riflessioni sulla poesia"
Ho sempre pensato che la poesia, e l'arte in generale, svolgano a livello sociale quella che a
livello individuale è la funzione del sogno: libera pulsioni segrete, svela ciò che è
razionalmente inconoscibile, scarica tensioni, è specchio non solo di paure,
angosce, terrori, degli incubi che salgono dalla nostra società e dal nostro
mondo, ma anche di desideri, tensioni, traguardi, felicità. E' immaginabile una società senza musica, teatro, cinema,
letteratura, arti figurative, poesia, danza ? Ugualmente difficile pensare a un essere umano privo di
ansie, aspirazioni, immaginazione. La poesia dà vita e voce ai fantasmi che si agitano dentro
di noi. Esiste forse un mezzo più efficace per parlare d'amore, di
sentimenti, della letteratura, della poesia, della musica ?. E che dire dell'angoscia della morte, della incertezza del
futuro, della pienezza del desiderio ?
Soltanto l'arte, che pure è sostanzialmente artificio,
finzione, può avvicinarsi alla verità delle esperienze umane, renderle
riconoscibili, condivisibili, nell'arte ognuno di noi può riconoscere le
vibrazioni che si muovono dentro, riconoscersi e accettarsi, accettare anche
quanto di negativo, di oscuro si muove e si agita in noi. Ci sono funzioni della scienza che aiutano a conoscersi,
svelano meccanismi profondi della nostra vita,
ma ci sono romanzi che valgono molto più di qualsiasi seduta
psicanalitica, molto più di qualsiasi trattato. In questa funzione sociale si colloca naturalmente
l'aspirazione a immaginare, prefigurare un mondo migliore, e quindi a
combattere le ingiustizie. L'energia che arma la mano del poeta è lo sguardo. Non credo
che un poeta abbia lo sguardo esclusivamente rivolto alle proprie dinamiche
interne, un poeta allarga il suo sguardo alla condizione umana, trova
nell'altro il suo specchio e direi il suo movente. Quindi trovo connaturata nell'agire poetico l'aspirazione a
combattere le ingiustizie. Renderle oggetto di creazione poetica, evidenziarle,
denunciarne l'esistenza è un primo passo nella lotta contro le disparità, gli
abusi, le distorsioni del potere, la mancanza di rispetto nei confronti dei
diritti umani basilari. Quando si parla del male di vivere mi viene spontaneo
pensare a queste situazioni, l'evidenza di abitare un mondo fatto non più a
nostra misura, dove il rispetto per la vita dell'uomo e della natura vengono
sistematicamente cancellati e offesi per esigenze dettate dal profitto, da un
potere che si fa cane da guardia delle esigenze del profitto. Certamente ci muoviamo in un contesto complesso e difficile. Un altro aspetto del male di vivere è la consapevolezza di
essere finiti,limitati, sapere che la nostra vita ha una scadenza, l'incertezza
del dopo. Sono risultanze persino banali. Penso tuttavia che non sia possibile soffermarsi soltanto
sul male di vivere. Esistono infiniti motivi per esaltare anche il bene di
vivere. In una mia cosa ho scritto che per me la poesia è
un'effervescenza di parole che certifica la gioia di stare al mondo. Trovo che
i motivi per gioire, seppure in un mondo complicato e spesso avverso, siano
infiniti e abbiano ragioni anche più impellenti rispetto al male di vivere. I sentimenti, i desideri, l'amore, le infinite bellezze del
mondo costituiscono valide motivazioni all'origine dell'atto poetico. E inoltre
la consapevolezza della scadenza a breve dovrebbe costituire un motivo in più
per godere della passeggiata. Io non credo che l'atto creativo possa sopportare regole che
costituiscano un limite alla potenziale sconfinata libertà espressiva, e non
attribuisco valenza normativa a quei piccoli espedienti tecnici che regolano il
ritmo, la musicalità, la disposizione delle parole, esistono come possibilità
stilistiche, come varianti di percorso operativo. Tuttavia penso che esistano delle soglie minime di
accesso alla poesia. Oggi molti scrivono poesia, ma pochissimi la leggono. Uno dei criteri selettivi mi sembra questo: non si può
presumere di scrivere poesia senza in parallelo leggere poesia, dei classici ma
soprattutto dei contemporanei, senza un costante confronto col linguaggio usato
dagli altri poeti sarà difficile munirsi delle credenziali minime per essere
poeti. Una volta, fino a pochi anni fa, il confronto avveniva per
mezzo delle riviste che costituivano un filtro non sempre rigoroso ma
purtuttavia un filtro. Oggi tra siti e blog si assiste a un'esplosione di vitalità
creativa, che comunque nella quasi totalità dei casi non arriva a essere
poesia, si ferma alle soglie di un tentativo maldestro, spesso anche
fastidioso, di gesto espresso in forma e con modalità che vorrebbero appartenere
alla poesia e invece si fermano al livello del puro sfogo esistenziale. Non ci si può improvvisare maratoneti, senza un duro e
costante allenamento non si può sperare di arrivare al traguardo. Con la poesia il discorso è identico, non ci si può improvvisare,
senza impegno e allenamento, senza un'adeguata preparazione atletica, senza
curare la propria alimentazione, sarà impossibile anche solo varcare le soglie
della poesia. Il primo impegno è costituito dalla lettura, che fornisce le
basi minime, la ricchezza lessicale, la molteplicità di vedute, di prospettive
visuali e linguistiche, soprattutto l'esercizio respiratorio basilare, che è
l'atmosfera stessa della poesia, l'ossigeno che ne riviene, la capacità del
cuore e dello sguardo di abbracciare ogni cosa. Oltre naturalmente al confronto con le diversità tematiche,
metriche, stilistiche, che arricchiscono la propria base di esperienza. Ma poi è necessaria anche un'adeguata coltivazione del sé,
non è indispensabile che un aspirante poeta accumuli sapere, ma che si coltivi
sì. Senza un'adeguata curiosità delle cose del mondo, delle
persone, senza uno sguardo animato da sincero interesse, senza un'adeguata
alimentazione in termini di musica, di arte, ma soprattutto di vita, di
relazioni, di esperienze, ci si limiterà a compiere sterili e inutili peripli
intorno al proprio ombelico, ma questa circumnavigazione dell'io, se non
sostenuta da un adeguata cultura, nel senso di coltivazione, di alimentazione,
di spirito di ricerca in senso lato, si rivelano quasi sempre fastidiosi
esercizi di narcisismo. Infine io penso che la linea di demarcazione tra puro sfogo
verbale in forma di aspirazione poetica e vera poesia si riscontri nella
consapevolezza nei confronti del linguaggio. Il poeta utilizza un materiale particolare: le parole
possiedono un enorme potenziale e vanno usate con criterio. Solo chi impara a conoscerle, e manovrarle, e forgiarle, e
piegarle, a estrarne la giusta energia, a indirizzarle nella direzione voluta,
può chiamarsi poeta. Altro aspetto discriminante tra poesia e sfogo verbale è
costituito dal duplice versante dell'autocompiacimento e dell'insoddisfazione. E' probabile che un atteggiamento di ricerca del continuo
miglioramento, tipico di chi non si accontenta del primo risultato, possa portare
a una crescita del livello estetico, perché c'è sempre una parola più incisiva,
più adatta, più aderente alle intenzioni della poesia, c'è sempre una
prospettiva più esatta, un'angolatura confacente, insomma il lavoro del poeta è
una gran fatica. L'autocompiacimento regala una soddisfazione momentanea ed
effimera, è vero che le parole ci rispecchiano, che spesso ci innamoriamo di quello che scriviamo. Per la poesia niente di più dannoso dell'innamoramento. Si
perde qualsiasi opportunità di miglioramento. Scrivere poesia è paragonabile allo sforzo di chi vuol fare
scoccare la scintilla strofinando due legnetti, ci vuole determinazione, forza,
pazienza, adeguata conoscenza delle parole, perché strofinare le parole per far
scoccare la scintilla della poesia è impresa quantomai difficile. In definitiva la poesia è un prodotto dell'uomo creato
per altri uomini. Renderla indigesta o commestibile e nutriente dipende
esclusivamente da noi.
Paolo Polvani ha una visione molto nitida della poesia,poichè la ama e la investe di un ruolo molto importante:quello di garante di una ricerca emotiva concreta e profonda.Fatta di equilibri tra conoscenza
RispondiEliminadi se stessi e ciò che circonda.Nulla deve emergere da una condizione diversa dal vero,neanche il sogno.In poesia,anche quest'ultimo è vero.Tutto ciò che emana energia e si compie secondo una lucida esperienza personale di dedizione,passione e ricerca,diventa poesia,dipendendo da chi la scrive,quella grazia e quella spiritualità universali.Nel discorso di Paolo c'è la forza della sua poetica:mai casuale,mai banale,mai ripetitiva,poichè nutrita da un suo costante impegno a prendersi cura di lei.