Claudio Fiorentini collaboratore di Lèucade |
Vedo l’angolo di una casa a sinistra, e
davanti campagna libera che digrada a valle come la voglia di correre di un
bambino. Va, quella voglia, nel sogno che incarna un tempo che fu e che
continua ad essere. Non vedo una città con le sue borgate, con i suoi centri
privilegiati. Lo spazio che mi accoglie è ben lungi dal proporsi chiuso e
grigio. I colori che dominano sono il verde e il giallo della primavera, il
bianco dei fiori. Questi canti non chiudono la percezione in un magazzino,
semmai da lì escono per correre con il pensiero, quel pensiero libero, giovane,
pensiero spensierato.
Così, leggendo questi canti vivo
l’assenza, eppure le immagini sono presenti, le stesse immagini che ho visto in
altre poesie dello stesso autore. Prati sconfinati che ospitano la giovane
libertà, viva nel poeta e vivace nel lettore, libertà che mi prende per mano e
che nei versi diventa musica. Ed io “attratto dai richiami del meriggio” volo
quel volo che Icaro visse in parte. E anche se “è un naufragio per la nostra
essenza” non naufrago, semmai mi ritrovo il giallo autunnale di un novembre che
insiste, poi “ascolto i silenzi dell’anima” e vago alla ricerca di me stesso.
Queste poesie, molto intime, molto
personali, mi chiedono di diventare Nazario bambino, e vedo che nel fondo
dell’anima il poeta è rimasto quel Nazario bambino, non si è perso, e corre nei
prati, vive in un ricordo di un tempo che in tutta la sua crudeltà scompare per
lasciar spazio ad altro tempo.
È una poesia molto naturale ma non
naturalistica. Gli odori della natura ci sono tutti, e sono forti, presenti.
Torno ai miei otto, dieci anni, e quel regalo della vita è di nuovo in me, non
è stato sommerso dagli anni, semmai è tornato in primo piano facendomi
giocoliere incauto.
E infatti “Non sarà la sera che calante /
annuncia solo un giorno che va via / coi suoi colori vecchi. Declinante / il
segno non sarà della mia vita / volta a rammemorare. Alla natura / riaprire le
finestre di un ostello / non varrà che annunciare alle mie mura / colori di
serate ritrovate.” Mi dona questa ribellione.
Ma il seguito, questi canti vanno letti in
ordine, è un “presto ritornerò”, perché si torna, sempre. Il tempo è un ciclo
che consuma le forze, ma che torna sempre all’inizio, l’istante in cui non si è
e non si sa. Prima e dopo. In mezzo c’è la vita, e tutta intera va vissuta.
E non basta, perché il poeta ci invita, ci
sfida, ci rende partecipi quando ci dice “E tu che fai, non suoni? A cosa
pensi, / perché resti da te?”. Allora percepisco il messaggio di questo canto
come uno scuotimento dove il poeta mi prende per mano e mi sprona a cantare con
lui, ma con il mio canto, con quello che posso fare, perché io sono come lui,
insieme stiamo giocando nei campi, insieme “immaginiamo di essere un’orchestra
/ di veri musicanti che in concerto / suonano melodie per la platea”
Vado avanti, sono ancora con il poeta,
vedo che “Poi giunto è ottobre a mietere le foglie / di una stagione che ha
reciso il sole”, e pur sapendo che “Il frutto cade / del giorno ormai maturo ed
è la notte”, non vado a dormire, perché lui con me rimane a contemplare il
mondo, perché “se restava solo, nella sera, / si abbandonava un po’ alle sue
memorie. / cespiti in boccio / voci di sorgente / occhi indomiti da equino
all’età / che aveva gli anni della primavera.” Ecco la ribellione
all’abbandono, gli occhi che indomiti guardano quel bambino e lo fanno vivere
ancora.
Così “Giovinezza: / sortivi il tuo profumo
/ intento ad un sorriso dolce amaro.”, sei sempre lì, giovinezza, anche se ti
abbandoni al flusso del tempo e “ti trattieni con aria indifferente / sulla
panchina della piazza verde / a seminare amore.”
Insomma, non voglio parlare della tecnica
poetica, della fluidità dei versi, della musicalità di questi canti. Posso solo
dire quale effetto ha su di me la poesia, e in questo caso, i canti di Nazario
Pardini. Mi sono quindi lasciato guidare, non ho pensato alla storia del poeta,
non ho cercato il suo vissuto, perché le poesie, secondo me, non devono essere
lette come un diario, ma vissute come uno sprone. Quindi ho rivissuto la mia
storia, perché questi canti parlano al mio IO profondo, diventano quasi un
alter ego, una guida che mi scuote, e che stimola la mia creatività, facendomi
migliore.
Ringrazio Nazario Pardini per
l’opportunità di leggere queste belle pagine.
Claudio Fiorentini
…“ho rivissuto la mia storia, perché questi canti parlano al mio IO profondo, diventano quasi un alter ego, una guida che mi scuote, e che stimola la mia creatività, facendomi migliore.”
RispondiEliminaGrande commento empatico di Claudio Fiorentini, appassionante: mi ha coinvolto e fatto ricordare soprattutto nella parte finale, la poesia della poetessa Ana Blandiana, che riporto, ringraziando Claudio per la sua evidente sensibilità artistico-pittorica
M. Grazia Ferraris.
“Dovremmo nascere vecchi,
già dotati d'intelletto,
capaci di scegliere la nostra sorte in terra,
quali sentieri si avviano dal crocevia d'origine
e irresponsabile sia solo il desiderio di andare avanti.
Poi, andando, ringiovanire, ringiovanire sempre più,
maturi e forti arrivare alla porta della creazione,
varcarla e nell'amore entrando adolescenti,
essere ragazzi alla nascita dei nostri figli.
Sarebbero più vecchi di noi comunque,
ci insegnerebbero a parlare, per addormentarci ci cullerebbero,
e noi scompariremmo sempre più, divenendo sempre più piccoli,
come un chicco d'uva, come un pisello, come un chicco di grano”
Anche Claudio si inchina al cospetto di un capolavoro !
RispondiEliminaIo non so ancora trovar le giuste parole per commentare quei versi sublimi...
Roberto Mestrone
Bella pagina letteraria, questa di Fiorentini. Ne apprezzo i due punti, a mio parere, salienti: 1) "Il tempo è un ciclo che consuma le forze, ma che torna sempre all'inizio"; 2) "Le poesie non devono essere lette come un diario, ma vissute come uno sprone". La poesia di Pardini sprona, attraverso l'uso della memoria, non a tornare indietro, ma a tornare a capo.
RispondiEliminaComplimenti a Claudio ed un ringraziamento a Pardini.
Franco Campegiani
Grazie a Claudio, per l'autoptica, centrata, efficace, e sentita analisi dei miei testi. Una esegesi personalissima, condotta con energia verbale, e profondità ermeneutica. Emozionante e schietta: "Quindi ho rivissuto la mia storia, perché questi canti parlano al mio IO profondo, diventano quasi un alter ego, una guida che mi scuote, e che stimola la mia creatività, facendomi migliore".
RispondiEliminaNazario