Maria Grazia Ferraris collaboratrice di Lèucade |
Leggo con interesse la poesia di Elpidio Jenco (1893-1959) Febbraio, autore di cui poco conosco, se non vagamente, come di un napoletano trapiantato in Versilia, tra i fondatori, con altri amici del Premio Viareggio ….
Eppure la sua è una poesia che può far presa, a suo modo
essenziale, pura, autonoma, espressa con uno stile limpido (scopro che ha
imparato la lezione dell'haiku giapponese,che ritrovo poi con la sintesi di
pensiero e d'immagine che è tipica del genere, nella poesia Maggio), lontana ma
non inconsapevole da ogni forma di ermetismo. Cultura attenta e consapevole,
dunque.
MAGGIO
pei silenzi odorosi
del fieno e del grano,
sanno di fresco di luna
le rugiade sull'erba (da "Essenze", 1933)
Quel suo mese, Febbraio, è un poco autoritratto, Io son te, ciuffo pallido…
giocato nell’immedesimazione con la natura, non decorativo né impressionistico.
Sotto la traccia delle cose sorprende il lumeggiare nascosto della
bellezza, la pacata attesa, il senso di libertà e dell’infinito.
Le sue immagini sono semplici, raffinate, musicali. C’è ricerca,
concentrata sul suono della parola e sul colore.
Vive la consapevolezza tutta novecentesca della fatale caducità di tutte le cose, della solitudine, della nostalgia lacerante. Trasforma la disperazione in pacata rassegnazione per il destino umano. Un autore da riscoprire.
Maria Grazia Ferraris
Vive la consapevolezza tutta novecentesca della fatale caducità di tutte le cose, della solitudine, della nostalgia lacerante. Trasforma la disperazione in pacata rassegnazione per il destino umano. Un autore da riscoprire.
Maria Grazia Ferraris
Congedo
Mi libero negli spazi
da questo grumo di argilla pesa,
e mi sento affiorare
alla superficie dell'infinito,
come una polla d'acqua
che salga dalle radici
del mare.
Mi libero negli spazi
da questo grumo di argilla pesa,
e mi sento affiorare
alla superficie dell'infinito,
come una polla d'acqua
che salga dalle radici
del mare.
Elpidio Jenco
Nacque a Capodrise (Caserta) nel 1893 e morì a Viareggio nel 1959. La sua attività letteraria ebbe inizi precoci. Studente universitario faceva parte del gruppo della Diana che annoverava fra i suoi collaboratori poeti come Ungaretti, Onofri, Valeri, Titta Rosa, Fiumi, e collaborò alla rivista italo-giapponese Sakurà. Il primo volume in versi Poemi della primalba, fu pubblicato a Napoli nel 1918; seguirono Acquemarine, Cenere Azzurra, Essenze. Vinse il Premio di poesia promosso dalla Città di Chianciano col volume La vigna rossa. Studiò e tradusse liriche giapponesi. La raccolta Marsilvanafu pubblicata postuma nel 1960.
Nelle ultime composizioni, ha scritto Giulio Cogni, Jenco “ha voluto affrancarsi dalle forme classiche e dalle rime, a cui prima era fedele; concentrarsi in scorci sintetici che rasentano l‘ermetico. Ne è derivata, così, talvolta una minore musicalità e spontaneità, ma anche una maggiore immediatezza, concentrazioni visive e sensitive, veramente magiche, istantanee, depurate da ogni allargamento caro alla poetica classica”.
Febbraio
Io son te, ciuffo pallido,
che al vento ti porgi dal ciglio del muro,
e col mio chiuso tremito aspetti
che sfiondi
come la rondine prima
la primavera del mare.
Sicuramente un poeta da riscoprire, come ci invita a fare Maria Grazia Ferraris.
RispondiEliminaScrive Fabio Flego, curatore dell’Antologia poetica” Betelgeuse” - Pezzini Editore, 2009 - su Elpidio Jenco:
«All’ombra di un platano sul lato nord della piazza di Forte dei Marmi – il Quarto Platano, appunto, del caffè Roma –, una foto degli anni quaranta ritrae il cenacolo di scrittori e di pittori che fin dal dopoguerra, d’estate, all’imbrunire, là si riunivano attorno alla figura patriarcale di Enrico Pea, avvolto nella sua candida barba. In quell’”officina versiliese” del dibattito artistico-letterario, che oggi solo un’elegante epigrafe dettata da Piero Bigongiari ricorda, tra i Rapaci, i Carrà, De Grada, Montale e Pea, accanto ad Angioletti, siede anche, in maniche di camicia, Elpidio Jenco. […]
E’ uno di quei poeti archiviati perché probabilmente superficialmente confuso con tutta quella sfera di poeti generazionali, precursori in epoca non sospetta dell’ermetismo.
Ma Jenco, nonostante la sua produzione lirica non sia stata troppo copiosa, poteva ben distinguersi dalla massa dei poeti stagionali, proprio per quel suo elemento significativo che era l’amore per la lirica orientale.
La fondazione della rivista Sakura, pur nella sua breve vita di circa un anno (1920-1021), fu una pietra miliare nel panorama culturale dell’epoca che iniziò a guardare l’Oriente non più in modo folcloristico o approssimativo.
La sua dedizione per l’haiku e il tanka giapponese, lo porteranno a sfrondare e a liberare la sua scrittura che, altrimenti avrebbe potuto impantanarsi nel tardo carduccianesimo o rimanere sopraffatta dall’urto del trionfante dannunzianesimo. Jenco riuscì a librarsi nella spiritualità della prospettiva liberandosi dalla meteria del tratto e del segno, con elevati tocchi lirici.
UOMO
“Io lo so che sorte ti mena,
uomo effimero grumo di pena.
Giungi, soffri, t’affini ed ami:
sbocci in gemme, ributti in rami.
Poi, dentro le fragili spoglie,
qualcosa d’oscuro si spezza.
E il grumo di pena si scioglie
in un mare di eterna dolcezza…”
Lorena Turri
Grazie per le informazioni e per la nuova poesia. Davvero da riscoprire.
EliminaM. Grazia Ferraris