Nazario Pardini: I canti dell'assenza. The Writer. Milano. 2015 |
NAZARIO PARDINI
“ I CANTI DELL’ASSENZA”
Una prosa lirica meditata e fluente pare a
prima vista essere lo strumento e il veicolo letterario di questa raccolta
poetica dal tono riservato e colloquiale, ora mansueto, ora sognante, ora
gravido di nostalgia ma sempre incline al piacere, calmo e cadenzato, del
raccontare.
Questa veste prosastica, narrante, di
largo respiro, sempre confidente, questo periodare per ampi tratti che occupano
in genere tre o quattro versi spesso conclusi in emistichio, cela in
realtà uno straordinario, egregio impianto metrico.
Non ingannino le frequenti inarcature
generate nei versi dove sul primo emistichio si compie un periodo e sul
secondo si avvia il periodo seguente: è l’endecasillabo sciolto, di ascendenza
leopardiana ( ben ravvisabile d’altra parte la citazione dalle “Ricordanze”
all’8° verso de “Il profumo della giovinezza”: “Ed io che ti perdevo.
Inutilmente/”) , il riferimento metrico dominante che sostiene e governa
tutto il dettato poetico di questa silloge e il suo abile
trattamento già di per sé è un segnale di perizia letteraria non comune.
Molte liriche sono formate integralmente
da endecasillabi. In altre la cadenza del nobile verso è dominante ma è
rintracciabile un’ampia gamma di altre misure metriche, dal ternario ai
bipartiti alessandrini, con preferenza per il settenario.
Sul ritmo basilare, largo e pulsante,
degli endecasillabi Pardini inserisce alternative alloritmiche, come detto
raramente ad andamento estensivo tramite versi lunghi o doppi, ma piu’
frequentemente contrattivo, attraverso versi brevi, realizzando digressioni
ritmiche sincopate, d’altra parte mai frenetiche e indipendenti ma sempre
ricondotte e connesse allo stacco maestro dell’endecasillabo che, puntualmente,
ogni volta, ricompare ristabilendo la cadenza originaria.
Il linguaggio è accessibile,
scorrevole, sobrio e sorvegliato, senza ostentazioni, dal tono pacato,
conversante,
dai colori soffusi, alieno da clamori
fonetici (solo qualche sporadico accoppiamento di rime o di assonanze ) come
anche da sensazionalismi concettuali ( rilevabile forse una sola contorsione
metaforica: “ per fionde che affondavano radici/ nel terriccio dell’anima” in
“Lo stradone della scuola”); linguaggio
congeniale insomma tanto a una soffice
pittura descrittiva quanto a una vereconda rievocazione affettiva, talora
impreziosito da qualche lemma ricercato ( deliziosa la citazione
pascoliana “reste”, da “L’ora di Barga”, in “Volerei felice fra le
reste”) o desueto ( “buiore” in “Zufoli e fili d’erba”) oppure
arricchito dall’occasionale ermetismo di qualche breve digressione concettosa e
filosofeggiante.
La funzione dei tempi verbali è quella
classica: i passati riservati alle memorie, il presente per le aperture
descrittive, mentre certe subentranti, esaltanti sequenze di futuri configurano
una dimensione auspicante, che in “Elegia per Lidia”, festosa e amorosa
apocalisse, diviene surreale, oracolare e visionaria; una dimensione vaga e
struggente eppure propositiva,
rasserenante, tutta tinta di speranza.
Notevole è anche la gamma sensoriale dei
ricordi dove tutti i sensi , visivo, uditivo, gustativo, olfattivo e tattile,
sono rievocati e tradotti con agilità e limpidezza.
Certo l’aura di mitezza che fa da sfondo a
questo eloquio poetico, accanto a un suo colore “sombre”, autunnale e
all’austerità che si addice, pur nell’alternarsi dei registri, a un’immanente,
costante “ contemplazione della morte”, sembra vietargli la scolpitezza di
fraseggio e l’impeto d’accento così che in certi momenti la moderazione
potrebbe essere scambiata per inerzia e la sobrietà per gracilità
espressiva.
A ben guardare però un simile rilievo
appare ingiusto.
Non è infatti raro trovare momenti di
ragguardevole impatto espressivo, ora di incisiva eloquenza ( cfr. “ad immolare
il giorno alle memorie” in “Il viaggio di un pensiero” oppure il bellissimo
verso “Il pianto suo solenne ai vostri marmi” in “Oh terra di novembre”)), ora
di intenso abbandono lirico ( cfr. “ .Andiamo, andiamo/ tu e io soli,
giovinezza, andiamo.” In “Il profumo della giovinezza“) ora di immaginosa eleganza
( cfr. “ alle frullane lucide di sole.” in “ Contro le lune”, oppure il
notevolissimo “..; e tu madre/ sempre lesta alle brine mattutine” in “Oh
terra di novembre”).
Più d’uno sono i registri linguistici di
quest’opera che forgia un’”epos” familiare e contadino. “I canti
dell’assenza” declinano una colloquialità composita, che alterna una
semplicità piana e gergale a tratti di erudizione quando non di riferimento a
fonti illustri.
D’altra parte l’affinità con i “Canti”
leopardiani non sta solo nell’impiego dell’endecasillabo sciolto o nella
citazione sopra rilevata, ma si ravvisa anche nella luminosa pienezza di certe
aperture descrittive (cfr. sei versi in “Sera di casa mia” : “. L’aria si
apre/ chiara nel cielo. Sfioriranno i gigli./ I narcisi sui prati e sopra i
fulgidi/ balconi di paese. Ritornato/ sono per rivedere il primo verde/ che
evade con il raggio del mio prato/ il fumido maggese”). Ne “I canti
dell’assenza” Pardini ricostruisce alcune pietre miliari del proprio vissuto
con l’acutezza dell’artista ispirato e la perizia del letterato di vaglia in
una “Rechèrche” di un tempo mai perduto, rieccheggiato e ritrovato nella terra,
nelle stagioni, nelle persone, nei simulacri di un passato salvato e conservato
dentro agli affetti indelebili riposti nei recessi più intimi della coscienza
affettiva, negli angoli più difesi del cuore.
Un passaggio da “Non chiedermi perché”, a
cui una doppia rima conferisce un tono gozzaniano, riassume il senso di
quest’opera poetica : “ Sarà forse l’amore. Chi lo sa./ Eppure c’è qualcosa che
ha guidato/ quest’animo rigonfio di ricordi/ tra i fiordi del passato.”.
In una prospettiva insieme austera e
benigna, queste liriche sono culto della memoria, ritracciamento di segreti del
proprio passato nella ciclica, rituale immutabilità della natura e infine
liturgia della speranza verso un ideale “nostos” di compimento e di appagamento
affettivo.
Nonostante l’impianto composito, sono la
misura e l’equilibrio nel dosare, accostare e legare le immagini dei ricordi e
le componenti del “melange” emotivo e sensoriale suo proprio, in una parola
l’ammirevole equilibrio della linea narrativa, ad apparire come uno dei pregi
salienti, forse il risultato più distintivo e qualificante di questa raccolta.
Luciano Domenighini
Recensione di una espansione metodologica assennata e perspicace. E' condotta con valente armonia di criteri critici: campo semantico, metrico-significante, e analitico. Tutti i miei complimenti al valente critico.
RispondiEliminaProf. Angelo Bozzi
Grazie a Luciano Domenighini per aver analizzato in maniera superlativa ogni aspetto della mia recente pubblicazione poetica.
RispondiEliminaNazario
Conosco la poesia di Pardini ed ho quest'ultimo volume. Quindi ho anche la possibilità di apprezzare questa appropriata, e coerente analisi critica. I miei più convinti complimenti all'Autore.
RispondiEliminaMaria
Ricca di sostanza, di indicazioni peculiari, e di potenzialità intuitiva. Complimenti.
RispondiEliminaClaudio
Critico competente. Artifex additus artifici. Complimenti.
RispondiEliminaValeria
Splendida analisi che nulla tralascia , ma su tutto si sofferma: sul ritmo, sul lessico, sulla metrica. Una lettura appassionata ed attenta a cogliere echi classici, sfumature nell'uso dei tempi verbali, sensibile al tono del discorso poetico, ai colori, ai profumi. Complimenti, Luciano e naturalmente applausi al Poeta.
RispondiEliminaGrazie per l'approvazione al mio sommario commento ai professori Angelo Bozzi e Lidia Guerrieri e a Claudio, Valeria,Maria.E grazie soprattutto all'Autore di queste magnifiche poesie.
RispondiEliminaLuciano Domenighini