Sonia Giovannetti:
Editore Kairòs. Gennaio 2015. Pp. 68
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Un
altro inverno
Vedi come il tempo ci muta
e come sprofonda per esso l’illusione
d’aver per complice l’eternità.
Non so dirti padre mio
dove ho posato l’antica ascia
e dove riposa l’animo guerriero.
Un altro inverno si è adagiato
sul nido delle rondini
segnando così il mio volto
d’altra stanchezza greve.
Potesse ora il mio tempo sostenerti.
Ora che il tempo è abitato dal vero.
Iniziare da questa poesia eponima, che, con tutti i
suoi guizzi semantici, abbraccia la plurivocità
della silloge, significa avvicinarsi a quelli che sono gli input esistenziali
di Sonia Giovannetti. È il tempo l’attore primo dello spartito di questi canti.
Il tempo, che, con tutto il suo simbolismo metaforico, contamina le emotività della vicenda umana.
C’è il volare delle rondini, il loro nido zeppo di significanti, c’è dunque la
primavera, fresca, che tanto sa di giovinezza; e c’è l’inverno, il momento del
riposo, della meditazione, dopo la fine di una stagione che ha visto le lacrime
rubino delle fronde. Ed è con questa meditazione che l’Autrice si fa cosciente
della fugacità dell’ora, della precarietà
del nostro casuale soggiorno, dell’accumularsi di tramonti che segnano il volto
“d’altra stanchezza greve”. E il tutto in una versificazione snella, densa,
affabulante; in una versificazione che segue, con urgenti accostamenti, le
espansioni rievocative riaffiorate alla luce dopo lunga decantazione. C’è in
queste pièces l’inquietudine di un essere che azzarda voli oltre le possibilità
del nostro essere umani. Oltre gli spazi ristretti del nostro giardino, che,
pur fiorito, pur avvincente per i suoi iridei e panici contorni, ci chiude in
limiti da cui vorremmo svincolarci. Anche perché è il memoriale che ci parla di
sottrazioni, di redde rationem, riportandoci a lontane scalate su picchi di
vita da cui vedevamo immensi orizzonti a dirci d’eterno; ed, ora, a dirci di
padri; a dirci di sguardi per i quali daremmo tutto noi stessi; la realtà
smonta quel senso di totalità, di arrogante vitalità umana che vivevamo tanto
luminosa da sciogliere ogni bruma:
Potesse ora il mio tempo
sostenerti.
Ora che il tempo è abitato dal
vero.
Sì, quel vero che ci mette di fronte ad una quotidianità
a volte oppressiva:
Questa notte come ogni notte,
esposta al vento come un panno
pulito
all’ombra della luce d’una
stella,
ha segnato un altro solco
dentro questa mia stanchezza
(Notte),
a volte, anche, gioiosa; simboleggiata da un mare
che tanto sa di larga effusione per un amore che può persino arrestare la
clessidra:
I pensieri torneranno
come un mare che batte sulla
scogliera
e tu sarai la sola cosa vera
(Lampo),
ma una quotidianità pur sempre lontana anni luce da
quel mondo costruito con i nostri azzardi iperbolici, con i nostri voli onirici:
Luna piena stasera.
Lo sai, siamo lontani
sotto lo stesso cielo.
Senza la luce pacata e gentile
dell’astro a me più caro
penserei d’averla sognata
questa vita.
Questo silenzio.
Questa libertà (Luce
di vita).
Una libertà che affranchi la Nostra dalle
insoluzioni dell’essere e dell’esistere; un sentimento umano, dacché è umano
aspirare al silenzio, ad un silenzio loquace, al completamento di una terrenità
forbita di diatribe di memoria pascaliana, di contrapposizioni fra ciò che è
reale e ciò che è in seno ad un mistero contro cui ci imbattiamo. Un intrigo di
dubbi e interrogativi, irrisolti e irrisolvibili, forieri di malinconie, al
quale, partendo dalle ristrettezze del quotidiano, la Poetessa cerca di ovviare
con un viaggio traslato, e, anche, di cospicua vis creativa. Quello di una
vita, che, con un getto di terra fresca fra le crepe, si riappropria di una
fertilità da cui sbocciano fiori freschi come le poesie di questa plaquette. Un
viaggio fatto di amore, illusioni, delusioni, dissolvenze, ma soprattutto
incertezze su questo nostro andare:
La pioggia si sgrana in
dissolvenza
ogni volta sul mio corpo.
Ogni volta sul ricordo
(Pioggia sul dolore).
Una vicenda intrisa di tutti quegli abbrivi emotivi
che caratterizzano il nostro vivere in un percorso di versi fuori da ogni epigonismo,
da ogni armamentario retorico, dove la vita, spesso, pur apparendo come uno spazio
prestato dalla morte, si ravviva di colori che coprono tutta l’iride
dell’arcobaleno. Dove il tutto si sprigiona ex abundantia cordis con un ars
inveniendi di fattura lirica. Dacché la
Poetessa vive e si nutre di poesia:
In questo vorticoso andare,
in questo tutto che si muove e muta,
l’unica verità che ascolto
è la certezza di volere poesia
(L’unica verità).
Ed è ad essa che affida la sua anima, il suo pensiero,
le sue contraddizioni umane, le sue perplessità, perché, incontrandosi col
cuore dell’uomo, gridi al mondo le aporie da cui è contaminato: “La poesia deve camminare nell'oscurità e incontrarsi con il cuore
dell'uomo, con gli occhi della donna, con gli sconosciuti della strada, di
quelli che a una certa ora del crepuscolo, o in piena notte stellata, hanno
bisogno magari di un solo verso...” (Pablo Neruda); perché gridi al mondo le
sofferenze di quei disperati in cerca di un approdo:
… Ma ecco qualcuno, sul molo,
lanciare parole dure come sassi
a chi arriva dal mondo dimenticato.
Come se i loro padri non fossero mai
emigrati,
e mai avessero patito fame, paura,
disperazione.
A volte la memoria tace (L’approdo).
Una silloge di polisemica significanza e di
proteiforme valenza, dove, ora si cerca un raggio antico smarrito; ora un giorno
imperfetto che corre ad esaurirsi nel buio dell’essere delle cose; ora un
mistero che può far parte dell’esistere; ora un altrove in cui potersi ritrovare; ed ora un amore che domini incontrastato, al
di sopra di tutto, in un climax di contaminante armonia:
Ti parlerò nel buio.
Sfiorerò il palpito del tuo volto.
Sarà anche mio quel tuo lento respiro.
La notte ci allontana e lega le promesse
(Parlarti).
Un
canto che, nel dipanarsi di tutta la sua complessità vicissitudinale, pur
partendo da realtà spicciole, sa elevarsi,
con cospirazioni di nessi e fonosimbolismi, al di sopra della canonica
sintassi. Dacché la Giovannetti è alla continua ricerca di significanti metrici
che combacino con le folgorazioni intime. E sa quanto sia difficile trovare un
verbo utile a coprire l’intensità dell’animo umano. Della sua infinita
proiezione all’azzurro. Un verbo che sappia contenere uno spiraglio di luce a
illuminare un sogno che si sfuma in un ipotetico ultimo addio:
Serbami
solo uno spiraglio di luce,
chè io
possa vedere quel sogno
dissolversi
e lentamente sparire.
Come
l’ultima onda del mare. (Non trattenermi).
Nazario Pardini
Il Professor Pardini, nella sua Prefazione, ha riportato le parole di Neruda: “La poesia deve camminare nell'oscurità e incontrarsi con il cuore dell'uomo, con gli occhi della donna, con gli sconosciuti della strada, di quelli che a una certa ora del crepuscolo, o in piena notte stellata, hanno bisogno magari di un solo verso...” ed io, emozionata e felice, sono onorata che la mia poesia ha incontrato tanta bellezza: le magistrali parole che lui ha saputo donare al mio nuovo libro di poesie.
RispondiEliminaIl “tempo” della poesia è il tempo dell’uomo, della condizione umana e ogni poesia è un viaggio nel tempo. Il mio libro è il tempo del ricordo, della memoria, del futuro; è l’istante che si fa eterno. E’ “un altro inverno che si è adagiato sul nido delle rondini”. Sono grata al Professor Nazario Pardini per aver inciso questo mio tempo.
Sonia Giovannetti
"Vedi come il tempo ci muta / e come sprofonda l'illusione / d'aver per complice l'eternità". Eppure l'illusione scompare "ora che il tempo è abitato dal vero" e con tale presenza può "sostenere" il flusso perenne dello scomparire e del disintegrarsi di tutte le cose. Dice Sonia, allora, "il mio libro è... l'istante che si fa eterno". In questo incontro/scontro dell'Essere con il Divenire, della contingenza con l'eternità (che può solo balenare, ma mai venire realmente catturata nelle formule espressive) sta tutta la particolare valenza di questa affascinante poesia, nutrita di conoscenze elementari e profonde.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Splendida recensione dell'Immenso Nazario, corredata dal commento illuminato del caro Franco, per "Un altro inverno", che ha sapore di primavera. Il cuore di Sonia, pur nel dolore, conserva intatto l'elemento di resurrezione.
RispondiElimina"Senza la luce pacata e gentile
dell’astro a me più caro
penserei d’averla sognata questa vita.
Questo silenzio.
Questa libertà " (Luce di vita)
Basta pensare all'oro che crepita in questi versi, che si spande sulle insofferenze, sulle paure, sulle disillusioni, come balsamo.
La danza musicale di questa Poetessa é intrisa della pietas, che la caratterizza come Narratrice e come Donna. Invita alla speranza, a lasciar
filtrare il sole attraverso i rami nudi dell'inverno.
"l’unica verità che ascolto
è la certezza di volere poesia" (L’unica verità).
Ed é forse la poesia quel sorriso che accende gli occhi di velluto di Sonia e
li rende lievi nell'osservare il mondo, tesi a comprenderne le piaghe, a volerle lenire. "A volte la memoria tace "(L’approdo), recita nella lirica di denuncia per uomini che sanno dimenticare troppi eventi. Sanno dimenticare di essere stati esuli in terre straniere e di aver avuto il soprannome di 'maiali italiani'... Ma non v'é offesa. Non v'é rabbia di fuoco. Sono commosse e addolorate le parole. E celano l'elemento salvifico, che torna a emergere, a rendere i versi simili a un'epifania esistenziale...
Non ho letto la Raccolta di Sonia, ma so che non racconta l'inverno. So che trascende le stagioni ed é seme di rinascita.
Maria Rizzi